© 2021 Cosimo Strusi
Libertà Edizioni @musicaelibri.net Editore
Prima edizione 2021

ISBN 979-12-80349-00-2

Stampato in Italia
per conto di Libertà Edizioni @musicaelibri.net





La soluzione dell'Equazione di Schrödinger per sistemi idrogenoidi
(come non l'avete mai vista)




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Equazione risolta in maniera completa da
Cosimo STRUSI
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Breve Prefazione dell'autore

Una cosa che mi ha sempre angustiato nella risoluzione delle equazioni, in particolare di quelle differenziali, è il salto logico sistematico operato dagli autori di pubblicazioni tecnico-scientifiche che, invece di illustrare il metodo di risoluzione di un'equazione, anche solo sottolineandone i passaggi fondamentali, mostrano semplicemente come la soluzione soddisfi l'equazione data.

La logica spiegazione risiede nel fatto che i testi orientati alla tecnologia e alle applicazioni ingegneristiche spesso tralascino molti dei suddetti passaggi per ragioni di tempo.

L’avvio di questo lavoro risale ad anni fa ed ancora conservo i fogli sdruciti e bruniti relativi ai primi calcoli riguardanti la trasformazione di coordinate da cartesiane a polari sferiche.

L'augurio è che questo lavoro possa interessare ed appassionare tutte quelle persone, cultori degli argomenti qui trattati, che abbiano sempre sentito, come me, una stretta al cuore leggendo la frase "adesso facciamo vedere, sostituendola nell'equazione, come la funzione proposta sia soluzione della suddetta equazione".

Tempio Pausania 18 Gennaio 2021









1.   La Genesi dell’equazione di Schrödinger per l'onda stazionaria associata ad una particella (libera o vincolata)


È l’equazione ottenuta induttivamente dal fisico austriaco Schrödinger nel 1926, partendo dall'equazione classica delle onde.
È un’equazione differenziale ordinaria alle derivate parziali del secondo ordine la cui soluzione dà la “funzione d’onda” che descrive il comportamento di una particella su scala atomica.

Le scoperte di Planck (Teoria dei Quanti, costante fondamentale h), De Broglie (Dualismo onda-corpuscolo), Heisenberg (Principio d'Indeterminazione) mostravano che anche alla materia risulta associata un’onda, con proprietà molto particolari (celebre l'esperienza di interferenza di Davisson e Germer, realizzata nel 1927).
Nel caso dell’elettrone libero si sapeva com’era fatta; ma nel caso di un elettrone legato ad un atomo?
Ci voleva un’equazione che, risolta, desse la corretta funzione d’onda in grado di descrivere il comportamento dell’elettrone o di altre particelle nelle diverse situazioni.
Per dedurre l'equazione dell'onda associata ad un elettrone nell'atomo, Schrödinger partì dall'equazione classica di un'onda piana stazionaria che nel caso unidimensionale si scrive

d2Ψ dx2 + (λ)2 Ψ  = 0     la cui soluzione per una particella libera è     Ψ(x)  =  AM sen (λ x)     (onda piana stazionaria)

Infatti un'equazione differenziale ordinaria del secondo ordine a coefficienti costanti, come quella data, si risolve ricordando che la soluzione generale è del tipo
        Ψ(x)  =  c1 exp(α1 x)  +  c2 exp(α2 x)  
dove

α1, α2 sono le soluzioni dell'equazione algebrica associata, ottenuta "sostituendo una incognita α per ogni ordine di derivazione";
cioè
d dx   → α   mentre   d2 dx2   → α2   (si ricordi che Ψ   → d0 dx0   → α0 = 1)   quindi l'equazione algebrica associata si scrive     α2 + (λ)2  =  0   le cui soluzioni sono   α1,2 = ±iλ   per cui la soluzione generale si può scrivere

Ψ(x)  =  c1 e+i λ x  +  c2 e-i λ x  =  c1 [ cos (λ x)  +  i sen (λ x) ]  +  c2 [ cos (λ x)  -  i sen (λ x) ]  =  (c1 + c2) cos (λ x) + i (c1 - c2) sen (λ x)

e ponendo     c1 = A + iB 2     e   c2 = A - iB 2       (c1 e c2 complessi coniugati), si ottiene     Ψ(x)  =  A cos (λ x) - B sen (λ x)     e con le sostituzioni

A = AM sen (π + α) = AM sen α     e     B = AM cos (π + α) = - AM cos α     otteniamo infine    

Ψ(x)  =  AM sen α cos (λ x) + AM cos α sen (λ x) = AM sen (λ x + α) in questo caso α = 0

Dove AM (ampiezza massima) e α (angolo di sfasamento) si determinano in base alle condizioni al contorno o iniziali.



Schrödinger mise insieme, per ricavare la sua celeberrima equazione, le acquisizioni fino ad allora raggiunte (sviluppò il tutto con un prodigioso lavorio intellettuale in soli 6 mesi, da gennaio a giugno del 1926):

Quanti di Planck → E = (n + 1 2)·hν (Energia dei livelli energetici dell'oscillatore armonico quantistico);

Fotone di Einstein → E = hν (Ipotesi corpuscolare della radiazione)

Lunghezza d'onda di De Broglie → λ = h p   → p = h λ (Onde materiali associate ad un particella) dove p è la quantità di moto della particella
D'altra parte per una particella libera in moto sappiamo che l'energia cinetica (a velocità non relativistiche) è    E = p2 2m

e quindi, sostituendo alla quantità di moto la sua espressione in funzione di λ secondo De Broglie, si ha

E  =  p2 2m  =  h2 2mλ2     da cui si ricava     λ  =  h 2mE     (lunghezza d'onda dell'onda materiale associata ad una particella libera in moto rettilineo uniforme)

Se invece trattasi di particella legata, tipo l'elettrone nell'atomo, bisogna ricordare che l'energia cinetica T è data T  =  E - V dove dall'energia meccanica totale E si sottrae quella potenziale V. Ragion per cui la formula diventa

E - V =  p2 2m  =  h2 2mλ2   → λ  =  h 2m(E - V)

A questo punto introduciamo l’espressione di de Broglie per λ nell’equazione d’onda stazionaria:

d2Ψ dx2 + (λ)2 Ψ  = 0       →     d2Ψ dx2 + 2m(E - V) · (h)2 Ψ  = 0       →     - h2 2m · d2Ψ dx2 + V Ψ  =  E Ψ   →     - 2m · d2Ψ dx2 + V Ψ  =  E Ψ       o anche

2m · d2Ψ dx2 + (E - V) Ψ  =  0     dove      =  h  =  1,055 · 10-34 Joule · sec

L'estensione al caso tridimensionale è intuitivamente immediata

2m · (2Ψ ∂x2 + 2Ψ ∂y2 + 2Ψ ∂z2) + (E - V) Ψ  =  0

E considerando la somma di derivate parziali come un unico operatore matematico quantistico (∇ = nabla) → (∇2 = nabla al quadrato)

2m · (2 ∂x2 + 2 ∂y2 + 2 ∂z2)Ψ + (E - V) Ψ  =  0     →   2m · ∇2Ψ + (E - V) Ψ  =  0     dove evidentemente   2  =  (2 ∂x2 + 2 ∂y2 + 2 ∂z2)

o anche vettorialmente

= (i ∂x + j ∂y + k ∂z)     dove i, j, k   sono i versori dei tre assi cartesiani.
Ovviamente in tutte queste considerazioni la lettera m indica la massa della particella a cui è associata l'onda.





2.   L’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo (caso generale, onda non stazionaria)


Il caso più generale si ha se l'onda non è di tipo stazionario; la funzione d'onda si indica con Ψ(x, t) per evidenziare la doppia dipendenza spazio-temporale.
Un'equazione differenziale alle derivate parziali, detta equazione delle onde (unidimensionale), era stata dedotta da Jean Baptiste D’Alembert nel 1747 nella descrizione delle piccole oscillazioni di una corda omogenea o per un'onda piana che si propaga in un gas (tipico esempio il suono in aria):

2 ∂x2 Ψ(x, t) + β 2 ∂t2 Ψ(x, t)  =  0     dove β  =  1 v2     con v che è la velocità di propagazione dell'onda

In casi del genere, considerandoli unidimensionali, sono soluzioni dell'equazione funzioni del tipo

cos(kx - ωt), ei(kx - ωt), sen(kx - ωt), e-i(kx - ωt)     quindi comprese funzioni equivalenti in forma complessa

dove k = λ     ω = 2πν   con ν frequenza d'onda e ω velocità angolare o pulsazione. Ed inoltre si ha

E = ω       p = k     per energia e quantità di moto associate al moto della particella

Schroedinger partì da questa equazione e cercò di capire se dalla sua ossatura si potesse ricavare quella adatta a descrivere il moto di una particella come l'elettrone nel caso complesso in cui esso sia legato in un atomo.

Le più importanti proprietà che doveva avere l'equazione desiderata, erano Ben presto Schrödinger si rese conto che l'equazione della corda vibrante non andava bene, arrivando alla conclusione che la derivata rispetto al tempo non poteva essere seconda, ma prima.
Infatti, provando a calcolare le derivate seconde della funzione Ψ(x) = cos(kx - ωt) si ottiene

2 2x Ψ  =  -k2 cos(kx - ωt)     e     2 2t Ψ  =  -ω2 cos(kx - ωt)     e, sostituendo nell'equazione, si ha

-k2 cos(kx - ωt) + 1 v2 ω2 cos(kx - ωt)  =  0     cioè risulta che     β = 1 v2  =  k2 ω2     e quindi, dal momento che     k = p     e    ω = E , risulta infine    1 v2  =  p2 E2     questo significa che nella struttura dell'equazione compaiono esplicitamente i paramentri del moto E e p.

Se invece partiamo da una equazione del tipo

2 ∂x2 Ψ(x, t) + β ∂t Ψ(x, t)  =  0     e si calcola la derivata seconda rispetto a x e la prima rispetto a t, risulta

2 ∂x2 Ψ(x, t)  =  2 ∂x2 e-i(kx-ωt)  =  -k2e-i(kx-ωt) ;       ∂t Ψ(x, t)  =  i ω e-i(kx-ωt)     e, sostituendo nell'equazione, si ha

-k2e-i(kx-ωt)  =  β i ω e-i(kx-ωt)     quindi   β  =  - k2 i ω  =  - 2m i     per cui l'equazione si scrive

2 ∂x2 Ψ(x, t) - 2m i ∂t Ψ(x, t)  =  0     →     2 ∂x2 Ψ(x, t)  =  2m i ∂t Ψ(x, t)     →     i 2m 2 ∂x2 Ψ(x, t)  =  ∂t Ψ(x, t)     e moltiplicando entrambi i membri per i

- 2 2m 2 ∂x2 Ψ(x, t)  =  i ∂t Ψ(x, t)

che è l'equazione di una particella (caso tipico, un elettrone) libera dotata di energia cinetica T a cui corrisponde l'operatore quantistico T  =  2 2m 2 ∂x2

FINALMENTE ERA L'EQUAZIONE GIUSTA; occorreva solo aggiungere la funzione relativa al potenziale elettrico V(x,t), concepito nell'accezione più generale di variabile nello spazio e nel tempo, ottenendosi

- 2 2m 2 ∂x2 Ψ(x, t) + V(x, t) Ψ(x, t)  =  i ∂t Ψ(x, t)    

e per il caso tridimensionale

- 2 2m (2 ∂x2 + 2 ∂y2 + 2 ∂z2 ) Ψ(x, y, z, t) + V(x, y, z, t) Ψ(x, y, z, t)  =  i ∂t Ψ(x, y, z, t)     o, in forma più compatta     - 2 2m 2 Ψ + V Ψ  =  i ∂t Ψ    

Questa è la formula più generale per un corpuscolo, es. tipico elettrone, libero (V = 0), in un campo elettrico stazionario (∂t V = 0) o in un campo elettrico variabile nel tempo (interazioni fotone-elettrone legato → transizioni elettroniche)

Come detto, l'equazione in questa sua forma generale, con esplicita dipendenza temporale, torna utile per trattare le interazioni radiazione-elettrone legato nel caso delle transizioni elettroniche, dal momento che l'interazione tra il campo elettromagnetico associato al fotone combinandosi con il campo del potenziale elettrico generato dal nucleo, fa si che l'elettrone sperimenti una situazione (transitoria) di campo rapidamente variabile nel tempo.

Diverso è il caso del campo stazionario (indipendente dal tempo) che sussiste se non ci sono sollecitazioni esterne; in questo caso il potenziale di campo elettrico V(x, y, z) dipende solo dalle coordinate spaziali, e questo consente di separare la dipendenza spaziale da quella temporale, fattorizzando la funzione

Ψ(x, y, z, t) = ψ(x, y, z) · φ(t)   potendo così scrivere

- 2 2m 2 [ψ(x, y, z) · φ(t)] + V ψ(x, y, z) · φ(t)  =  i ∂t [ψ(x, y, z) · φ(t)]  e ovviamente φ(t) è costante rispetto all'operatore 2, mentre ψ(x, y, z) lo è rispetto all'operatore   i ∂t   e quindi si portano fuori dal rispettivo operatore, avendosi

- 2 2m φ(t) · ∇2 ψ(x, y, z) + V ψ(x, y, z) · φ(t)  =  i ψ(x, y, z) · ∂t φ(t)    e così, dividendo entrambi i membri per ψ(x, y, z) · φ(t), si ottiene

- 2 2m · 2 ψ(x, y, z) ψ(x, y, z) + V(x, y, z)  =  i φ(t) · ∂t φ(t)     che si può anche scrivere

- 2 2m · ∇2ψ(x, y, z) + V(x, y, z) ψ(x, y, z) ψ(x, y, z)   =   i φ(t) · ∂t φ(t)
così che al numeratore del primo membro si può porre

(- 2 2m 2 + V)ψ(x, y, z) ψ(x, y, z)   =   i φ(t) · ∂t φ(t)
dove si può notare che   (- 2 2m 2 + V)  =  H   (l'operatore hamiltoniano dell'energia totale dell'elettrone legato al nucleo nell'atomo)

E dal momento che i due membri dipendono da variabili diverse: le coordinate cartesiane il primo, solo il tempo il secondo membro, essi possono essere uguali solo ad una costante; e siccome c'è l'operatore H dell'energia E, la più importante costante del moto, è intuitivo porre i due membri uguali ad E, ottenendosi

H ψ(x, y, z) ψ(x, y, z)  =  E       e       i φ(t) · ∂t φ(t)  = E     e quindi l'equazione di Schrödinger indipendente dal tempo si scrive

H ψ(x, y, z) =  E ψ(x, y, z)     o anche, esplicitando H:   - 2 2m 2 ψ(x, y, z) + V ψ(x, y, z)  =  E ψ(x, y, z)   o, portando tutto a primo membro, raccogliendo e cambiando di segno:

2 2m 2 ψ(x, y, z) + (E - V) ψ(x, y, z)  =  0     che è la forma più comune che compare nei libri di testo.

È interessante elaborare e risolvere l'equazione con la solo derivata rispetto al tempo, che si può evidentemente scrivere

1 φ(t) · ∂t φ(t)  =  i E     →     ln φ(t)  =  i (E t + α)     dove α è la costante di integrazione. E quindi

φ(t)  =  e i (ω t + α)  =  cos(ωt + α) + i sen(ωt + α)     avendo posto   ω  =  2π ν  =  2π E h  =  E


3.   L'equazione di Schroedinger per l'atomo d'Idrogeno (e per l'atomo idrogenoide, introducendo Z): conversione in coordinate polari

L'equazione di Schroedinger in coordinate cartesiane nel caso più semplice di un atomo di Idrogeno si scrive:

h2 2m 2Ψ + (E - V)Ψ = 0

Dove il simbolo ∇2 (Nabla al quadrato) è il Laplaciano Δ (un operatore matematico scalare) in coordinate cartesiane:

2  =   2 ∂x2   +   2 ∂y2   +   2 ∂z2

Per poterla risolvere è necessario trasformarla in coordinate polari, dal momento che la funzione energia potenziale è quella di un campo elettrostatico centrale a simmetria sferica dipendente solo dalla coordinata polare r
V(r)  =   - e2 r  

equazione che, una volta scritta in coordinate polari, si può scindere in 3 equazioni ad una sola variabile, nelle 3 coordinate r, θ e φ, fattorizzando la funzione Ψ:

Ψ(r, θ, φ)  =   R(r) · Θ(θ)·Φ(φ)  

La conversione in coordinate polari è un'operazione lunga e tediosa, a dire il vero, ma, come molte questioni matematiche, è in grado di insegnare davvero a manipolare e penetrare più in profondità la conoscenza matematica, e, almeno una volta nella vita, assieme ad esempio alla risoluzione completa di una equazione differenziale del secondo ordine, andrebbe affrontata.

Invece nei sacri testi si trova sempre, invariabilmente, che l'autore salti direttamente dall'equazione alla sua soluzione, senza perdere altro tempo (sarebbe invece opportuno che il testo venisse corredato di "noiose" ma istruttive appendici).

Per poter effettuare la conversione prendiamo le mosse da definizioni e proprietà fondamentali dei differenziali.
Per definizione di Differenziale totale (in coordinate polari in questo caso) di una funzione di Stato (sono funzioni di stato quelle i cui valori non dipendono dal percorso, ma solo dalle coordinate di posizione considerate) si ha:

dΨ(r, θ, φ)  =   ∂Ψ ∂rdr + ∂Ψ ∂θdθ + ∂Ψ ∂φ  

Per il Differenziale totale del 2° ordine si può procedere nel modo seguente: esso si può ottenere facendo il differenziale di quello di 1° ordine:


d(dΨ)  =   d2Ψ = d(∂Ψ ∂rdr + ∂Ψ ∂θdθ + ∂Ψ ∂φdφ =   d(∂Ψ ∂rdr) + d(∂Ψ ∂θdθ) + d(∂Ψ ∂φdφ)               (3.1)


I 3 termini differenziali della (3.1) possono essere considerati come differenziali di prodotti di funzioni, dove i fattori sono:

∂Ψ ∂r, dr, ∂Ψ ∂θ, dθ, ∂Ψ ∂φ, dφ

Pertanto per la regola di differenziazione di un prodotto si avranno le (3.2):

d(∂Ψ ∂rdr) = [d(∂Ψ ∂r)]·dr + ∂Ψ ∂r·d(dr)     |     d(∂Ψ ∂θdθ) = [d(∂Ψ ∂θ)]·dθ + ∂Ψ ∂θ·d(dθ)     |     d(∂Ψ ∂φdφ) = [d(∂Ψ ∂φ)]·dφ + ∂Ψ ∂φ·d(dφ)      (3.2)

Cioè:

Il Differenziale del prodotto di 2 funzioni è uguale al differenziale della prima funzione per la seconda non differenziata, più il prodotto della prima funzione non differenziata che moltiplica il differenziale della seconda.


Come visto prima per Ψ anche qui avremo:       d2r = d(dr)     d2θ = d(dθ)     d2φ = d(dφ)

Per cui, facendo le opportune sostituzioni il Differenziale del secondo ordine di Ψ si scrive:

d2Ψ = [d(∂Ψ ∂r)]·dr + ∂Ψ ∂rd2r + [d(∂Ψ ∂θ)]·dθ + ∂Ψ ∂θd2θ + [d(∂Ψ ∂φ)]·dφ + ∂Ψ ∂φd2φ             (3.3)

Attenzione perchè la notazione d2r e analoghe in θ e φ, rappresentano differenziali del secondo ordine mentre la notazione dr2 e analoghe rappresentano differenziali del primo ordine elevati al quadrato.

Per vedere come si possono scrivere i differenziali delle derivate parziali che compaiono nella (3.3), cioè questi     d(∂Ψ ∂r),    d(∂Ψ ∂θ),    d(∂Ψ ∂φ)

bisogna chiamare in causa un'altra proprietà dei differenziali e delle derivate, cioè dell'invertibilità dell'ordine di derivazione e differenziazione; con ciò avremo:


d(∂Ψ ∂r)  =  ∂r(dΨ)  =  ∂r( ∂Ψ ∂rdr  +   ∂Ψ ∂θdθ  +   ∂Ψ ∂φdφ)  =  2Ψ ∂r2dr  +   2Ψ ∂r∂θdθ  +   2Ψ ∂r∂φ

d(∂Ψ ∂θ)  =  ∂θ(dΨ)  =  ∂θ( ∂Ψ ∂rdr  +  ∂Ψ ∂θdθ  +  ∂Ψ ∂φdφ)   =    2Ψ ∂r∂θdr  +  2Ψ ∂θ2dθ  +  2Ψ ∂θ∂φdφ       (3.4)

d(∂Ψ ∂φ)  =   ∂φ(dΨ) =   ∂φ( ∂Ψ ∂rdr  +  ∂Ψ ∂θdθ  +  ∂Ψ ∂φdφ)   =   2Ψ ∂r∂φdr  +  2Ψ ∂θ∂φdθ  +  2Ψ ∂φ2



Nelle espressioni risultanti nelle (3.4), occorre osservare che ci sono diversi termini che sono nulli; essi sono:


∂r(dr), ∂θ(dr), ∂φ(dr), ∂r(dθ), ∂θ(dθ), ∂φ(dθ), ∂r(dφ), ∂θ(dφ), ∂φ(dφ)


quelli contenenti la stessa variabile sono nulli perchè la derivata di una variabile rispetto a se stessa è uguale a 1 e il differenziale di 1 è ovviamente zero; mentre quelli contenenti 2 variabili diverse sono termini nulli perchè le variabili sono tra loro indipendenti.

Le (3.4) vanno a sostituire nella (3.3), ottenendosi la (3.5):

d2Ψ  =   (2Ψ ∂r2dr  +   2Ψ ∂r∂θdθ  +   2Ψ ∂r∂φdφ)·dr  +   ∂Ψ ∂rd2r  +   (2Ψ ∂r∂θdr  +   2Ψ ∂θ2dθ   +   2Ψ ∂θ∂φdφ)·dθ   +   ∂Ψ ∂θd2θ  +  
+ (2Ψ ∂r∂φdr   +   2Ψ ∂θ∂φdθ   +   2Ψ ∂φ2dφ)·dφ   +   ∂Ψ ∂φd2φ                  (3.5)



Togliendo le parentesi e moltiplicando:


d2Ψ  =   2Ψ ∂r2dr2  +   2Ψ ∂r∂θdrdθ  +   2Ψ ∂r∂φdrdφ +   ∂Ψ ∂rd2r  +   2Ψ ∂r∂θdrdθ  +   2Ψ ∂θ22 +   2Ψ ∂θ∂φdθdφ +   ∂Ψ ∂θd2θ  +   2Ψ ∂r∂φdrdφ   +   2Ψ ∂θ∂φdθdφ  +   2Ψ ∂φ22  +   ∂Ψ ∂φd2φ                  (3.6)


nella (3.6) ci sono tre coppie di termini uguali, quelli contenenti derivate parziali seconde miste; sommandoli si ha:


d2Ψ =  2Ψ ∂r2dr2 +  22Ψ ∂r∂θdrdθ +  ∂Ψ ∂rd2r +  2Ψ ∂θ22 +  22Ψ ∂θ∂φdθdφ +  ∂Ψ ∂θd2θ +  2Ψ ∂φ22 +  2Ψ ∂r∂φdrdφ +  ∂Ψ ∂φd2φ        (3.7)

A questo punto la (3.7) fornisce il differenziale del secondo ordine di Ψ in coordinate polari.

Tornando al Laplaciano di Ψ in coordinate cartesiane:




giova osservare che si tratta della somma delle tre derivate seconde rispetto ad x, y, z.

Se allora con la (3.7) si ha il differenziale del secondo ordine di Ψ in coordinate polari, basterà fare la derivata parziale seconda rispetto a x, y e z per ottenere le formule di conversione dei tre termini del Laplaciano da coordinate cartesiane a coordinate polari per poi arrivare all'espressione del Laplaciano in coordinate polari.

Quindi prendendo il differenziale del secondo ordine di Ψ in coordinate sferiche (la (3.7)) e facendone prima la derivata parziale seconda rispetto ad x, poi la derivata parziale seconda rispetto a y ed infine rispetto a z:



2Ψ ∂x2  =    2Ψ ∂r2 (∂r ∂x)2  +  22Ψ ∂r∂θ ∂r ∂x · ∂θ ∂x  +   ∂Ψ ∂r 2r ∂x2  +   2Ψ ∂θ2 (∂θ ∂x)2  +   22Ψ ∂θ∂φ ∂θ ∂x ∂φ ∂x  +   ∂Ψ ∂θ 2θ ∂x2  +   2Ψ ∂φ2 (∂φ ∂x)2  +  
2 2Ψ ∂r∂φ ∂r ∂x ∂φ ∂x   +   ∂Ψ ∂φ 2φ ∂x2



2Ψ ∂y2   =    2Ψ ∂r2 (∂r ∂y)2  +  22Ψ ∂r∂θ ∂r ∂y · ∂θ ∂y  +   ∂Ψ ∂r 2r ∂y2  +   2Ψ ∂θ2 (∂θ ∂y)2  +   22Ψ ∂θ∂φ ∂θ ∂y ∂φ ∂y  +   ∂Ψ ∂θ 2θ ∂y2  +   2Ψ ∂φ2 (∂φ ∂y)2  +         (3.8)
2 2Ψ ∂r∂φ ∂r ∂y ∂φ ∂y   +   ∂Ψ ∂φ 2φ ∂y2



2Ψ ∂z2   =    2Ψ ∂r2 (∂r ∂z)2  +  22Ψ ∂r∂θ ∂r ∂z · ∂θ ∂z  +   ∂Ψ ∂r 2r ∂z2  +   2Ψ ∂θ2 (∂θ ∂z)2  +   22Ψ ∂θ∂φ ∂θ ∂z ∂φ ∂z  +   ∂Ψ ∂θ 2θ ∂z2  +   2Ψ ∂φ2 (∂φ ∂z)2  +  
2 2Ψ ∂r∂φ ∂r ∂z ∂φ ∂z   +   ∂Ψ ∂φ 2φ ∂z2



La somma dei primi membri della (3.8) è il Laplaciano (o ∇2) di Ψ in coordinate cartesiane; quindi la somma dei secondi membri è il Laplaciano di Ψ in coordinate polari.


In totale i secondi membri sono costituiti da 27 termini; ci sono però dei termini che possono essere raccolti a fattor comune, rendendo meno caotica l'espressione; sono i termini che contengono la derivata seconda di Ψ rispetto alla coordinata r (sono 3 termini):

2Ψ ∂r2 (∂r ∂x)2   +   2Ψ ∂r2 (∂r ∂y)2   +   2Ψ ∂r2 (∂r ∂z)2   =    2Ψ ∂r2 [(∂r ∂x)2   +   (∂r ∂y)2   +   (∂r ∂z)2 ]                    (a)

poi i tre termini che contengono la derivata seconda di Ψ rispetto alla coordinata θ:

2Ψ ∂θ2 (∂θ ∂x)2   +   2Ψ ∂θ2 (∂θ ∂y)2   +   2Ψ ∂θ2 (∂θ ∂z)2   =    2Ψ ∂θ2 [(∂θ ∂x)2   +   (∂θ ∂y)2   +   (∂θ ∂z)2 ]                    (b)

ed infine i tre termini che contengono la derivata seconda di Ψ rispetto a φ:

2Ψ ∂φ2 (∂φ ∂x)2   +   2Ψ ∂φ2 (∂φ ∂y)2   +   2Ψ ∂φ2 (∂φ ∂z)2   =    2Ψ ∂φ2 [(∂φ ∂x)2   +   (∂φ ∂y)2   +   (∂φ ∂z)2 ]                    (c)

Ci sono poi tre termini contenenti a fattore la derivata prima di Ψ e la derivata seconda di r rispetto a x, y e z:

∂Ψ ∂r 2r ∂x2 + ∂Ψ ∂r 2r ∂y2 + ∂Ψ ∂r 2r ∂z2   =   ∂Ψ ∂r( 2r ∂x2 + 2r ∂y2 + 2r ∂z2 )                    (a')

ci sono poi tre termini che oltre alla derivata prima di Ψ rispetto a θ contengono la derivata seconda di θ rispetto a x, y e z:

∂Ψ ∂θ 2θ ∂x2 + ∂Ψ ∂θ 2θ ∂y2 + ∂Ψ ∂θ 2θ ∂z2   =    ∂Ψ ∂θ( 2θ ∂x2 + 2θ ∂y2 + 2θ ∂z2 )                    (b')

infine tre termini che oltre alla derivata prima di Ψ rispetto a φ contengono la derivata seconda di φ rispetto a x, y e z:


∂Ψ ∂φ 2φ ∂x2 + ∂Ψ ∂φ 2θ ∂y2 + ∂Ψ ∂φ 2φ ∂z2   =    ∂Ψ ∂φ( 2φ ∂x2 + 2φ ∂y2 + 2φ ∂z2 )                    (c')

Per finire ci sono i termini contenenti le derivate seconde miste, raccolti a tre a tre:


22Ψ ∂r∂θ ∂r ∂x · ∂θ ∂x  +   22Ψ ∂r∂θ ∂r ∂y · ∂θ ∂y  +  22Ψ ∂r∂θ ∂r ∂z · ∂θ ∂z  =  22Ψ ∂r∂θ (∂r ∂x · ∂θ ∂x  +   ∂r ∂y · ∂θ ∂y  +  ∂r ∂z · ∂θ ∂z )                       (a")

22Ψ ∂θ∂φ ∂θ ∂x · ∂φ ∂x  +   22Ψ ∂θ∂φ ∂θ ∂y · ∂φ ∂y  +  22Ψ ∂θ∂φ ∂θ ∂z · ∂φ ∂z  =  22Ψ ∂θ∂φ (∂θ ∂x · ∂φ ∂x  +   ∂θ ∂y · ∂φ ∂y  +  ∂θ ∂z · ∂φ ∂z )                       (b")

22Ψ ∂r∂φ ∂r ∂x · ∂φ ∂x  +   22Ψ ∂r∂φ ∂r ∂y · ∂φ ∂y  +  22Ψ ∂r∂φ ∂r ∂z · ∂φ ∂z  =  22Ψ ∂r∂φ (∂r ∂x · ∂φ ∂x  +   ∂r ∂y · ∂φ ∂y  +  ∂r ∂z · ∂φ ∂z )                       (c")


In totale NOVE secondi membri delle a, b, c, a', b', c', a'', b'', c'', che sommati danno il Laplaciano in coordinate polari:


A questo punto occorre determinare tutte le derivate parziali prime e seconde delle coordinate polari r, θ e φ rispetto alle coordinate cartesiane x, y, z; e per fare questo bisogna esprimere x, y e z in funzione di r, θ e φ.
Per poterle calcolare, è necessario ricavare le formule delle coordinate x, y, z in funzione delle polari r, θ e φ, deducendole dal grafico:


Evidentemente risulta       z = r · cosθ
dal momento che la coordinata z del punto P (x, y, z) è la proiezione ortogonale di r sull'asse z, determinata dall'angolo θ.

Per determinare le coordinate x, y del punto P(x, y, z) consideriamo la proiezione OP' di r sul piano xy; essa evidentemente è data da

OP' = r · senθ

d'altra parte è facile rendersi conto che       x = OP' · cosφ     y = OP' · senφ
e quindi risulta     x = r · senθ · cosφ     y = r · senθ · senφ

Procediamo con la determinazione delle coordinate polari in funzione di quelle cartesiane; risulta:
x2 = r2 · sen2θ · cos2φ
y2 = r2 · sen2θ · sen2φ
z2 = r2 · cos2θ

Sommando membro a membro:

x2 + y2 + z2 = r2 · sen2θ · cos2φ + r2 · sen2θ · sen2φ + r2 · cos2θ

mettendo in evidenza a secondo membro tra il primo e secondo termine:     x2 + y2 + z2 = r2 · sen2θ · (cos2φ + sen2φ) + r2 · cos2θ     tra parentesi abbiamo l'identità fondamentale della goniometria (cos2φ + sen2φ) = 1   e quindi

x2 + y2 + z2 = r2 · sen2θ · + r2 · cos2θ     cioè        x2 + y2 + z2 = r2 · (sen2θ · + cos2θ) = r2;     in definitiva come noto:     r = (x2 + y2 + z2)½.

Da     z = r · cosθ     si ricava    
   cioè    


Infine, dividendo     y = r · senθ · senφ     per     x = r · senθ · cosφ,    si ottiene    y/x = senφ/cosφ    cioè     y/x = tgφ    e inversamente     φ = arctg(y/x) .
Ricapitolando, dunque, le formule per calcolare le coordinate sferiche in funzione di quelle cartesiane sono:

A questo punto si possono cominciare a calcolare le varie derivate parziali delle variabili r, θ e φ rispetto alle coordinate cartesiane x, y, z.
Dal secondo membro della (a) si vede che occorre calcolare le derivate parziali prime ∂r/∂x, ∂r/∂y, ∂r/∂z.
Così fare la derivata parziale prima di r rispetto a x, cioè    ∂[(x2 + y2 + z2)1/2]∂x   significa fare

la derivata rispetto a x di una potenza di esponente α e base f(x, y, z), cioè ∂[f(x, y, z)α]/∂x che si risolve con la regola che recita:

    La derivata rispetto ad x di una potenza che ha per base una funzione f(x, y, z) e per esponente un numero intero α è uguale al prodotto di α per la funzione f(x, y, z) elevata ad (α - 1), tutto moltiplicato per la derivata rispetto ad x della funzione base f(x, y, z):

∂[f(x, y, z)α]∂x = α · f(x, y, z)α-1· ∂f(x, y, z) ∂x


E allora abbiamo
                              
∂r ∂x = ∂[(x2 + y2 + z2)½] ∂x = 12 · (x2 + y2 + z2)· ∂(x2 + y2 + z2) ∂x = 12 · (x2 + y2 + z2) · 2x = x x2 + y2 + z2

In modo analogo si ha
∂r ∂y = ∂[(x2 + y2 + z2)½] ∂y = 12 · (x2 + y2 + z2)· ∂(x2 + y2 + z2) ∂y = 12 · (x2 + y2 + z2) · 2y = y x2 + y2 + z2
e per la variabile z
∂r ∂z = ∂[(x2 + y2 + z2)½] ∂z = 12 · (x2 + y2 + z2)· (∂(x2 + y2 + z2) ∂z) = 12 · (x2 + y2 + z2) · 2z = z x2 + y2 + z2


Dal secondo membro della (a) si vede che il coefficiente della     2Ψ ∂r2   è dato dalla somma dei quadrati della derivate prime che sono state calcolate adesso, e quindi si ha
(∂r ∂x)2 + (∂r ∂y)2 + (∂r ∂z)2  =   [x x2 + y2 + z2]2 + [y x2 + y2 + z2]2 + [z x2 + y2 + z2]2  =
                                          x2 (x2 + y2 + z2) + y2 (x2 + y2 + z2) + z2 x2 + y2 + z2 = 1


Dal secondo membro della (b) si vede che il coefficente della 2Ψ ∂θ2 è dato da     (∂θ ∂x)2 + (∂θ ∂y)2 + (∂θ ∂z)2

La coordinata θ si calcola invece con la formula     θ    =     arccos( z (x2 + y2 + z2)½)    e quindi    ∂θ ∂z = ∂x [arccos( z r )]

D'altra parte si sa che se l'argomento della funzione arccos() è x allora risulta    d dx arccos(x)   = -(1 - x2)  
mentre se l'argomento è una f(x, y, z) si ha

∂x arccos[f(x, y, z)]   = -[1 - f(x, y, z)2)] ·  ∂f(x, y, z) ∂x    dove    f(x, y, z) = z r    che si può scrivere come    f(x, y, z) = z · r-1  e tenendo presente che la coordinata z è una costante nella derivazione rispetto a x si ottiene

∂x (z ·r-1)   = z · d dr(r-1∂r ∂x = z · (-1)·r-2·(1/2)·r-1·2x = -x·z r3


e quindi
∂θ ∂x = ∂x arccos( z r )   = [1 - ( z r )2] ·  x·z r3 = x·z r2· √x2 + y2

A questo punto si procede calcolando
∂θ ∂y = ∂y [arccos( z r )] = -[1 - ( z r )2] ·  ∂y (z ·r-1)   = -[1 - ( z r )2] ·  z · (-1)·r-2· 1 2 ·r-1·2y] = yz r2·√x2 + y2

Infine, procedendo analogamente, si trova:

∂θ ∂z = -x2 + y2 r2


Non rimane altro da fare che la somma dei quadrati delle derivate calcolate:

                                     (∂θ ∂x)2 + (∂θ ∂y)2 + (∂θ ∂z)2 = x2·z2 r4(x2 + y2) + x2z2 r4·(x2 + y2) + x2 + y2 r4   =   1 r2


che è il coefficiente della     2Ψ ∂θ2   nella (b); rimanendo da calcolare il coefficiente della    2Ψ ∂φ2   nella (c) che è dato da     (∂φ ∂x)2 + (∂φ ∂y)2 + (∂φ ∂z)2, somma dei quadrati delle tre derivate parziali di φ rispetto a x, y, z.

Si è visto che φ = arctg( y x)   ragion per cui    ∂φ ∂z = 0   dal momento che φ non è funzione di z; occorre dunque calcolare solo le derivate rispetto a x e y:

∂φ ∂x = ∂x [arctg( y x )] = [1 + ( y x )2]-1 ·  ∂x ( y x )   = [1 + ( y x )2]-1 · (-1) ·y· 1 x2 = - y x2 + y2

ed anche

∂φ ∂y = ∂y [arctg( y x )] = [1 + ( y x )2]-1 ·  ∂y ( y x )   = [1 + ( y x )2]-1 ·  1 x = x x2 + y2


e quindi si può procedere al calcolo, sapendo che    x = r·senθ·cosφ      e       y = r·senθ·senφ :


(∂φ ∂x)2 + (∂φ ∂y)2 = ( - y x2 + y2)2 + (x x2 + y2)2 = 1 x2 + y2 = 1 r2·sen2θ·cos2φ + r2·sen2θ·cos2φ = 1 r2·sen2θ


La conversione in coordinate polari va avanti calcolando i coefficienti delle derivate prime della funzione d'onda Ψ in (a'), (b') e (c'), cominciando dalla (a'), cioè da
2r ∂x2 + 2r ∂y2 + 2r ∂z2
e per fare ciò basterà derivare le derivate prime già calcolate:

2r ∂x2 = ∂x (∂r ∂x) = ∂x( x x2 + y2 + z2) = 1 x2 + y2 + z2 + x ·(- 1 2) · 1 (x2 + y2 + z2)3 ·2x = 1 r - x2 r3 = y2 + z2 r3

In modo simile per la coordinata y:

2r ∂y2 = ∂y (∂r ∂y) = ∂y( y x2 + y2 + z2) = 1 x2 + y2 + z2 + y ·(- 1 2) · 1 (x2 + y2 + z2)3 ·2y = 1 r - y2 r3 = x2 + z2 r3

e infine per la coordinata z:

2r ∂z2 = ∂z (∂r ∂z) = ∂z( z x2 + y2 + z2) = 1 x2 + y2 + z2 + z ·(- 1 2) · 1 (x2 + y2 + z2)3 ·2z = 1 r - z2 r3 = x2 + y2 r3


A questo punto si può calcolare il coefficiente cercato:

2r ∂x2 + 2r ∂y2 + 2r ∂z2 = y2 + z2 r3 + x2 + z2 r3 + x2 + y2 r3 = 2 r


Fatto questo, si passa al calcolo del coefficiente di ∂Ψ ∂θ , cioè 2θ ∂x2 + 2θ ∂y2 + 2θ ∂z2 e per fare ciò basterà derivare le derivate prime già calcolate:


2θ ∂x2 = ∂x( ∂θ ∂x) = ∂x( x·z r2· √x2 + y2 ) = z r2· √x2 + y2 - x2·z r3x2 + y2 + x·z·(-1/2)·2x r2 (√x2 + y2)3 = z r2· √x2 + y2 - 2x2·z r4x2 + y2 - x2·z r2 (√x2 + y2)3


poi, per la coordinata y:

2θ ∂y2 = ∂y( ∂θ ∂y) = ∂y( yz r2 ·√x2 + y2 ) = ∂y[ yz·r-2·(√x2 + y2 )-1] = z r2x2 + y2 - 2y2z r4x2 + y2 - y2z r2(x2 + y2)3


si badi che, per fare la derivata, l'espressione da derivare è stata trattata come un prodotto di 3 fattori, ottenendosi tre termini in ognuno dei quali c'e` un fattore derivato e due no.
Per finire si fa la derivata seconda di θ rispetto alla coordinata z:

2θ ∂z2 = ∂z ( ∂θ ∂z ) = ∂z ( -√x2 + y2 r2 ) = -√x2 + y2 ·(-2)·r-4·(1/2)·2z = 2z·√x2 + y2 r4 = 2z·(x2 + y2) r4·√x2 + y2


In questo modo si può determinare la somma delle derivate seconde di θ, con dei semplici passaggi di algebra elementare delle frazioni algebriche (i termini raccolti insieme hanno stesso colore, ed è facile vedere che quelli in blu si annullano per sottrazione):

2θ ∂x2 + 2θ ∂y2 + 2θ ∂z2 =

= z r2· √x2 + y2 - 2x2·z r4x2 + y2 - x2·z r2 (√x2 + y2)3 + z r2x2 + y2 - 2y2z r4x2 + y2 - y2z r2(x2 + y2)3 + 2z·(x2 + y2) r4·√x2 + y2   =

2z r2x2 + y2 + ( 2z·(x2 + y2) r4·√x2 + y2 - 2y2z r4x2 + y2 - 2x2z r4x2 + y2 )  -   ( x2z r2(x2 + y2)3 + y2z r2(x2 + y2)3 )   =

2z r2x2 + y2 + 2x2z + 2y2z -2y2z - 2x2z r4·√x2 + y2   -   x2z + y2z r2(x2 + y2)3   =

2z r2x2 + y2 -   z(x2 + y2) r2(x2 + y2)3 = 2z r2x2 + y2 -   z r2x2 + y2 = z r2x2 + y2


Non resta che sostituire a x, y, z le loro espressioni in coordinate sferiche viste prima; al che si ottiene:

z r   ·   1 r√x2 + y2    =   cosθ  ·   1 r√r2sen2θ cos2φ + r2sen2θ sen2φ    =    cosθ r√r2sen2θ ( cos2φ + sen2φ) =    cosθ r√r2sen2θ =    cosθ r2senθ =    cotgθ r2


Fatto questo, resta il coefficiente della derivata prima di φ, cioè    2φ ∂x2 + 2φ ∂y2 + 2φ ∂z2    dove però già si sa che la derivata di φ rispetto a z è nulla perchè φ non dipende da z, ma solo da x, y; dunque si ha:

2φ ∂x2 + 2φ ∂y2 = ∂x (- y x2 + y2 ) + ∂y ( x x2 + y2 ) = 2xy (x2 + y2)2 - 2xy (x2 + y2)2 = 0


e di tutte le derivate parziali seconde miste; ma a questo punto, capito il meccanismo, è facile vedere che tutti questi coefficienti sono nulli e quindi si può procedere con il Laplaciano in coordinate sferiche secondo la (p):

2Ψ ∂r2 + 1 r2 · 2Ψ ∂θ2 + 1 r2·sen2θ · 2Ψ ∂φ2 + 2 r · ∂Ψ ∂r + cotgθ r2 · ∂Ψ ∂θ
e l'equazione di Schrödinger diventa:

2Ψ ∂r2    +    1 r2 · 2Ψ ∂θ2    +    1 r2·sen2θ · 2Ψ ∂φ2    +    2 r · ∂Ψ ∂r    +    cotgθ r2 · ∂Ψ ∂θ    +    2m h2 · (E + e2 r )Ψ   =   0                      (3.e)






4.   Fattorizzazione della funzione Ψ(r, θ, φ) e ottenimento di tre equazioni ad una variabile dall'equazione di Schroedinger


Non sono noti procedimenti matematici per risolvere l'equazione (3.e) così com'è scritta con la funzione d'onda Ψ(r, θ, φ); l'unica è fattorizzare la funzione d'onda, dipendente da tre variabili, immaginando che essa sia esprimibile come prodotto di tre fattori funzioni di una sola variabile; cioè:

Ψ(r, θ, φ) = R(r)·Θ(θ)·Φ(φ)

Questo significa separare e studiare separatamente la dipendenza radiale da quelle angolari in θ e φ, cosa che si rivela unica strada praticabile a tutt'oggi; sostituendo allora nell'equazione (3.e) la funzione fattorizzata, si ha:

2 ∂r2 [R(r)·Θ(θ)·Φ(φ)]    +    1 r2 · 2 ∂θ2 [R(r)·Θ(θ)·Φ(φ)]    +    1 r2·sen2θ · 2 ∂φ2 [R(r)·Θ(θ)·Φ(φ)]    +    2 r · ∂r [R(r)·Θ(θ)·Φ(φ)]    +

cotgθ r2 · ∂θ [R(r)·Θ(θ)·Φ(φ)]    +    2m h2 · (E + e2 r ) [R(r)·Θ(θ)·Φ(φ)]    =   0

È facile rendersi conto che da tutti gli operatori di derivata possono essere "estratti" i fattori che non dipendono dalla variabile di derivazione, essendo rispetto a quest'ultima costanti; per ciò si ottiene:

Θ(θ)·Φ(φ)· d2 dr2 R(r)    +    1 r2 ·R(r)·Φ(φ)· d2 2 Θ(θ)    +    1 r2·sen2θ · R(r)·Θ(θ)· d2 2 Φ(φ)    +    Θ(θ)·Φ(φ)· 2 r · d dr R(r)    +

cotgθ r2 · R(r)·Φ(φ)· d Θ(θ)    +    2m h2 · (E + e2 r ) [R(r)·Θ(θ)·Φ(φ)]    =   0

Se a questo punto si moltiplica il primo membro per   r2·sen2θ R(r)·Θ(θ)·Φ(φ)  si ottiene:

r2·sen2θ R(r) · d2 dr2R(r) + sen2θ Θ(θ) · d2 2Θ(θ) + 1 Φ(φ) · d2 2 Φ(φ) + 2·r·sen2θ R(r) · d drR(r) + senθ · cosθ Θ(θ) · d Θ(θ) +2m r2·sen2θ h2 · (E + e2 r) = 0

Si porti poi il termine contenente la derivata seconda di   Φ  a secondo membro:

r2·sen2θ R(r) · d2 dr2R(r) + sen2θ Θ(θ)·d2 2Θ(θ) + 2·r·sen2θ R(r) · d drR(r) + senθ·cosθ Θ(θ)·d Θ(θ) + 2m r2·sen2θ h2 · (E + e2 r) =  -  1 Φ(φ) · d2 2 Φ(φ)           (2.f)


5.   L'equazione in Φ(φ) e la sua risoluzione con determinazione della funzione Φ(φ)


La situazione è che al primo membro di (2.f) ci sono funzioni della coordinata r e della coordinata θ, mentre a secondo membro la funzione è della coordinata φ; due membri funzioni di coordinate diverse possono essere uguali solo se uguali ad una costante; indicando con λ la costante, si può scrivere:

-  1 Φ(φ) · d2 2 Φ(φ)   =   λ

e quindi:
d2 2 Φ(φ)   +   λ·Φ(φ)   =   0


Questa è un'equazione differenziale ordinaria del secondo ordine a coefficienti costanti la cui soluzione si ottiene risolvendo la corrispondente equazione omogenea associata   α2 + λ = 0   con soluzioni puramente immaginarie date da   α1,2 = ±i·√λ   dove i è l'unità immaginaria; ottenendosi:

Φ(φ) = cost · e±i√λ·φ

o anche    Φ(φ) = cost · (sen√λ · φ ± i · cos√λ · φ)

Questa è una equazione che da' un set completo di autofunzioni {Φ(φ)} ortogonali tra loro e nornalizzabili, e autovalori { ±√λ}
dove è necessario che ±√λ abbia valori interi, altrimenti l'autofunzione corrispondente non sarebbe ad un sol valore (deve essere infatti periodica con periodo 2π); supponiamo per assurdo che λ = ½   in tal caso risulterebbe:

Φ(φ0) = Φ(φ0 + 2π)
sen(½ · φ0) + i · cos(½ · φ0)  = sen(½ · φ0 + 2π) + i · cos(½ · φ0 + 2π) 


sviluppando i seni e i coseni nelle 2 espressioni, si arriva all'assurdo:

sen(½ · φ0) + i · cos(½ · φ0)  = - [sen(½ · φ0) + i · cos(½ · φ0)]

proprio per aver supposto che λ  possa essere anche frazionario e non solo intero.
In realtà al posto di λ, per il senso fisico che ha √λ (determina l'orientamento nello spazio di un set di orbitali appartenenti allo stesso sottolivello energetico e quindi determina la molteplicità di orbitali degeneri; orientamento che viene messo in evidenza dall'applicazione di un campo magnetico) la radice quadrata di lambda viene indicata con la lettera m (iniziale della parola "magnetico") e quindi risulta:

Φ(φ) = cost · ei·m·φ  o anche    Φ(φ) = cost · [sen(m·φ) + i · cos(m·φ)]

dove risulta che:  m {0, ±1, ±2, ±3, ..., ±N}

Per determinare il valore della costante, basta normalizzare la funzione, cioè porre l'integrale della densità di probabilità uguale a 1:


dove |Φ(φ)|2   rappresenta il quadrato del modulo (|Φ(φ)|) di Φ(φ), dove per definizione di modulo di una funzione complessa si ha:

|Φ(φ)| = √cost2·sen2(mφ) + cost2·cos2(mφ)     cioè "la radice quadrata del quadrato della parte reale + il quadrato del coefficiente della parte immaginaria", vale a dire

|Φ(φ)| = cost·√sen2(mφ) + cos2(mφ)   dove dalla trigonometria si sa che   sen2(mφ) + cos2(mφ)   =   1    e quindi  |Φ(φ)|2 = cost2  da cui, risolvendo l'integrale, si ottiene   2π·cost2 = 1   cioè cost = 1

ottenendosi:   Φ(φ)   = 1  · ei·m·φ    che è la funzione normalizzata.

6.   Separazione della parte radiale R(r) della funzione d'onda dalla parte Θ(θ) dipendente solo da θ e ottenimento delle relative equazioni

Torniamo adesso al primo membro della (2.f) che sappiamo essere uguale a m2:
r2·sen2θ R(r) · d2 dr2R(r)    +    sen2θ Θ(θ) · d2 2Θ(θ)    +    2·r·sen2θ R(r) · d dr R(r)    +    senθ·cosθ Θ(θ) · d Θ(θ)    +    2m r2·sen2θ h2 · (E + e2 r )    =   m2

e, per separare le variabili, dividiamo per sen2θ:
1 sen2θ ·[ r2·sen2θ R(r) · d2 dr2R(r)    +    sen2θ Θ(θ) · d2 2Θ(θ)    +    2·r·sen2θ R(r) · d dr R(r)    +    senθ·cosθ Θ(θ) · d Θ(θ)    +    2m r2·sen2θ h2 · (E + e2 r )]   = m2 sen2θ


Togliendo la parentesi quadra, moltiplicando e semplificando, si ottengono dei termini che sono solo funzione della coordinata radiale r e termini solo funzione della coordinata angolare θ:

r2 R(r) · d2 dr2R(r)    +    1 Θ(θ) · d2 2Θ(θ)    +    2·r R(r) · d dr R(r)    +    cotgθ Θ(θ) · d Θ(θ)    +    2m r2· h2 · (E + e2 r )  =   m2 sen2θ


La separazione di variabili si perfeziona portando i termini in θ a secondo membro:

r2 R(r) · d2 dr2R(r)    +    2·r R(r) · d dr R(r)       +    2m r2· h2 · (E + e2 r )  =   m2 sen2θ  -    1 Θ(θ) · d2 2Θ(θ)    -    cotgθ Θ(θ) · d Θ(θ)


Anche qui essendo i due membri funzione di variabili diverse (il primo membro è funzione della sola r mentre il secondo è funzione della sola θ), devono essere uguali ad una costante, che per comodità scriviamo nella forma l(l+1)


Dall'ultima equazione scritta, si ricava l'equazione nella sola variabile radiale:

r2 R(r) · d2 dr2R(r)    +    2·r R(r) · d dr R(r)    +    2m r2· h2 · (E + e2 r )  =   l(l+1)


dalla quale, portando a primo membro   l(l+1) e moltiplicando per   R(r) r2,   si ottiene:

d2 dr2R(r)    +    2 r · d dr R(r)    +    2m h2 ·R(r) · (E + e2 r )   -   l(l+1) · R(r) r2  =   0              (6.g)


dove la funzione cercata R(r) deve essere definita e continua in tutto il campo R+ definito per r > 0 .


In maniera analoga si può ricavare l'equazione della funzione Θ(θ) dipendente solo dalla variabile θ

m2 sen2θ  -    1 Θ(θ) · d2 2Θ(θ)    -    cotgθ Θ(θ) · d Θ(θ)  =  l(l+1)     (6.g')


7.   Risoluzione delle equazioni asintotiche della funzione d'onda radiale: determinazione della soluzione asintotica di R(r) per r → +∞


Per avere un'idea della struttura della funzione R(r), andiamo a studiare la struttura asintotica dell'equazione e le sue soluzioni asintotiche, per r → 0 e per r → ∞ .


Con riferimento all'equazione (6.g), vediamo come diventa se si fa   lim r → ∞ (6.g).  
Evidentemente nella (6.g) si annullano il secondo termine 2 r · d dr R(r) → 0 , poi e2 r → 0  e infine l'ultimo termine del primo membro l(l+1) · R(r) r2 → 0, diventando tutti infinitesimi del primo o secondo ordine.
E quindi l'equazione diventa:

d2 dr2R(r)    +    2m h2 ·R(r) · E  =   0              (7.1)

dove r deve essere molto grande (r → ∞, e si parla di soluzioni asintotiche R)

Facciamo delle semplificazioni operando opportuni cambiamenti di variabile, introducendo il Raggio di Bohr della prima orbita dell'atomo di Idrogeno:

a0 = h2 2me2   e ponendo   r = a0 · ξ = h2 2me2  · ξ    si ha:    dr2 =  (dr)2 = [d(h2 2me2  · ξ)]2   =   h4 16π4m2e4  · dξ2

con l'equazione che diventa

16π4m2e4 h4  · d2 2R(ξ)    +    2m h2 ·R(ξ) · E  =   0              (7.2)

moltiplicando l'equazione in (7.2) per   h4 16π4m2e4   si ottiene:     d2 2R(ξ)    +   h4 16π4m2e4   ·   2m h2 · R(ξ) · E  = 0   e semplificando:

d2 2R(ξ)    +   h2 2me4   ·   R(ξ) · E  = 0

a questo punto giova notare che il fattore che moltiplica l'autovalore E dell'energia, a parte R(ξ), altro non è che l'inverso dell'energia dello stato fondamentale dell'atomo di Idrogeno secondo la teoria di Bohr che possiamo scrivere:

ε0 =   - 2me4 h2     al che l'equazione diventa:     d2 2R(ξ)    -   E ε0 · R(ξ)  = 0

e, posto   ε = E ε0,   si ottiene l'equazione nella scrittura compatta   d2 2R(ξ)   -   ε · R(ξ)  = 0

così l'equazione ha la stessa struttura di quella relativa a Φ(φ) e può essere risolta allo stesso modo, ricorrendo alla sua omogenea associata che si scrive:   
α2 - ε = 0    con soluzioni     α1,2 = ± √ε,  ottenendosi:       R(ξ) = A · e± √ε · ξ

dove la soluzione positiva non è accettabile perchè l'integrale del quadrato del modulo di R(ξ), esteso all'intervallo [0, +∞], è divergente, cioè non ha un valore finito che deve avere per essere normalizzato ad 1; quindi si ha:       R(ξ) = A · e-ε · ξ


8.   Un opportuno cambiamento di variabile indipendente, ponendo r = a0·ξ e E = ε0·ε


Ora modifichiamo anche la (6.g), sostituendo a r = a0·ξ e a E = ε0·ε; naturalmente ξ e ε sono adimensionali; in questo modo risulta:

1 a02 · d2 2R(ξ)    +    2 a02·ξ · d R(ξ)    +    2m h2 ·R(ξ) · (ε0ε + e2 a0ξ )   -   l(l+1) · R(ξ) a02ξ2  =   0


moltiplichiamo per a02

d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)    +    a02 · 2m h2 ·R(ξ) · (ε0ε + e2 a0ξ )   -   l(l+1) · R(ξ) ξ2  =   0


togliamo le tonde, moltiplicando ancora:

d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)    +    a02 · 2m h2 ·R(ξ) · ε0ε + a02 · 2m h2 ·R(ξ) · e2 a0ξ   -   l(l+1) · R(ξ) ξ2  =   0


cioè

d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)    +    a02 · 2m h2 ·R(ξ) · ε0ε + a0 · 2m h2 ·R(ξ) · e2 ξ   -   l(l+1) · R(ξ) ξ2  =   0


e sostituiamo ad a0 l'espressione vista prima:

d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)    +    (h2 2me2 )2 · [2m h2 ·R(ξ) · ε0ε] + (h2 2me2 ) · 2m h2 ·R(ξ) · e2 ξ   -   l(l+1) · R(ξ) ξ2  =   0


semplificando

d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)    +    h2 2me4 · R(ξ) · ε0ε  +  2 ξ ·R(ξ)   -   l(l+1) · R(ξ) ξ2  =   0


infine sostituiamo l'espressione di ε0

d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)    +    h2 2me4 · R(ξ) · (-  2me4 h2)·ε  +  2 ξ ·R(ξ)   -   l(l+1) · R(ξ) ξ2  =   0


dunque

d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)    -     ε·R(ξ)  +  2 ξ ·R(ξ)   -   l(l+1) · R(ξ) ξ2  =   0                            (8.1)




9.   Risoluzione delle equazioni asintotiche della funzione d'onda radiale: determinazione della soluzione asintotica di R(r) per r → 0




Partiamo dall'equazione in funzione di ξ, la (8.1), e andiamo a studiare l'altra equazione e soluzione asintotica, ottenuta per r → 0; i termini senza derivate sono tre, ma due sono trascurabili quando r → 0 perchè sono costanti o aumentano troppo lentamente; quindi l'equazione in un intorno dello zero ha le stesse soluzioni di

d2 2 R0(ξ)    +    2 ξ · d R0(ξ)    -   l(l+1) ξ2  · R0(ξ)  = 0


Questa è un' equazione differenziale ordinaria (non alle derivate parziali) del secondo ordine a coefficienti non costanti.

Il problema sta proprio in questo, che non esistono metodi generali di risoluzione di questo tipo di equazioni (a coefficienti non costanti).

Esse si risolvono spesso con l ' impiego di serie e di sviluppi in serie che portano a funzioni con fattori polinomi.

Moltissimi testi propongono la soluzione senza quasi nessuna giustificazione ed è difficile rendersi conto del perchè delle soluzioni proposte.

Esiste però una teoria matematica che fornisce spunti per la loro risoluzione ed è la teoria delle funzioni analitiche di una variabile complessa che ammettano singolarità fuchsiane o non essenziali (eliminabili).

La nostra equazione è



un'equazione del secondo ordine a variabile reale (che si può considerare un caso particolare di variabile complessa, con coefficiente della parte immaginaria = 0) che ha una singolarità fuchsiana nell'origine dell'asse ξ.

Infatti si ha

Nel caso di un'equazione del secondo ordine del tipo:    y"(ξ) + v(ξ) · y'(ξ) + w(ξ) · y(ξ) = 0   essa è un'equazione fuchsiana del secondo ordine, se il punto ξ = ξ0 (nel nostro caso l'origine dell'asse ξ, cioè ξ0 = 0) è punto singolare isolato fuchsiano, cioè se v(ξ) è polo di ordine 1 in ξ0 (cioè infinito o infinitesimo del 1° ordine), mentre w(ξ) è polo di ordine 2, cioè infinito o infinitesimo di 2° ordine, e l'equazione ammette solo punti singolari fuchsiani, intesi come singolarità isolate dove vale il Teorema di Fuchs

Nell'intorno di un punto fuchsiano ξ0 esiste sempre una soluzione del tipo    y1 = (ξ - ξ0)γ · t1(ξ)     dove l'esponente γ è soluzione di una equazione algebrica associata che si può scrivere γ2 + (m0 - 1)γ + n0 = 0   dove   m0   =   lim ξ → ξ0 (ξ - ξ0) · v(ξ)   e     n0   = lim ξ → ξ0 (ξ - ξ0)2 · w(ξ)   e la funzione t1(ξ) una funzione polinomiale da determinare.

Nel caso in esame, la serie si riduce ad una costante, cioè ad un polinomio di grado zero.
In generale si può porre t1(ξ) = Σckak(ξ); ma nel nostro caso, si potrebbe dimostrare che la serie si riduce a a0 = 1; al momento la controprova si può fare, sostituendo nell'equazione la soluzione proposta, verificandola.


Per prima cosa, dunque, determiniamo m0 e n0, calcolando i due limiti per ξ → 0   posto che

v(ξ) = 2 ξ   cioè la funzione coefficiente della derivata di R0(ξ)   e   w(ξ) = - l(l+1) ξ2   la funzione coefficiente di R0(ξ) .

Appare evidente che i prodotti dei quali fare il limite per ξ → 0 sono in realtà delle costanti, per cui risulta   m0 = 2,   n0 = -l(l+1)  , quindi l'equazione algebrica associata è γ2 + γ - l(l+1) = 0  e risolvendo, si ha γ1 = l   e γ2 = - l-1  
per cui le soluzioni ottenute sono y1 = ξl   e   y2 = ξ-l-1   dove però la y2 non è accettabile dal momento che tende a +∞ per ξ → 0 e quindi nell'intorno di ξ = 0 la soluzione asintotica è data da R0(ξ) =  ξl









10.   Ottenimento della soluzione generale R(r) della parte radiale dell'Equazione di Schrödinger


In definitiva è lecito supporre che la struttura della funzione d'onda radiale, mettendo insieme a mo' di fattori le soluzioni asintotiche trovate, sia:

R(ξ) = A · e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)   dove la costante A è un fattore di normalizzazione da determinare e t1(ξ) è una funzione da definire come sviluppo polinomiale opportuno.


Tornando alla (8.1)         d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)    -     ε·R(ξ)  +  2 ξ ·R(ξ)   -   l(l+1) · R(ξ) ξ2  =   0

essa si può scrivere, raccogliendo i termini con R(ξ)

d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)  -  ( ε  -  2 ξ   +   l(l+1) ξ2 ) · R(ξ)  =   0

riducendoli a denominator comune

d2 2R(ξ)    +    2 ξ · d R(ξ)  -  ε · ξ2  -  2 · ξ   +   l(l+1) ξ2 · R(ξ)  =   0

ed è evidente che la struttura dell'equazione soddisfa il teorema di Fuchs, dove    v(ξ) = 2 ξ     e   w(ξ) =  -  ε · ξ2  -  2 · ξ   +   l(l+1) ξ2     da cui risulta

m0 = lim ξ → ξ0 (ξ - ξ0) · v(ξ)   e     n0   = lim ξ → ξ0 (ξ - ξ0)2 · w(ξ)     e si può procedere con il calcolo dei due limiti, posto che ξ0 = 0

m0 = lim ξ → 0 ξ · v(ξ)  =   lim ξ → 0 ξ · 2 ξ  = 2    e

n0 = lim ξ → 0 ξ2 · w(ξ)  =   lim ξ → 0 { ξ2 · [ -  ε · ξ2  -  2 · ξ   +   l(l+1) ξ2 ]}  =  - lim ξ → 0 [ ε · ξ2  -  2 · ξ   +   l(l+1) ]   =   - l(l+1)

I valori di m0 e di n0 sono gli stessi che per l'equazione asintotica di R0(ξ), ma l'espressione risultante per la funzione comprende come fattore una serie che non si riduce ad una costante; quindi per la funzione R(ξ) occorre scrivere

R(ξ) = A · e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)       (10.1)
dove t1(ξ) è una funzione sostituibile con una serie t1(ξ) = Σk ak· ξk o equivalente, studiata per ottenere la migliore approssimazione; la ricerca della serie più idonea, per meglio approssimare la funzione t1(ξ), si fa per tentativi, basandosi sull'intuizione e le esperienze precedenti. In questo caso, a suo tempo, si trovò che la migliore approssimazione si ottiene con la serie t1(ξ) = Σk ak· (2ξ√ε)k

Per poter procedere, inseriamo nell'equazione differenziale (7.3) l'espressione vista per R(ξ), senza la costante A, cioè R(ξ) = e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)     ottenendosi:

d2 2 [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]    +    2 ξ · d [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]  -  ε · ξ2  -  2 · ξ   +   l(l+1) ξ2 · [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]  =   0         (10.2)

A questo punto calcoliamo l'espressione della derivata prima

d [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]  =  l · e-ε · ξ · ξl - 1 · t1(ξ) -ε ·  e-ε · ξ · ξl · t1(ξ) + e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)  =   ( l ξ -ε) ·  e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)  +  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)

dove i termini contenenti la t1(ξ) sono stati raccolti a fattor comune, dopo aver trasformato la potenza ξl - 1   in   ξl (notare ll ξ ) .

Procediamo poi determinando la derivata seconda di R(ξ), facendo la derivata della derivata prima già calcolata (la parte in rosso-brown del calcolo precedente) ed osservando che se la derivata prima consta di 3 termini prodotto, lo sviluppo della derivata seconda sarà costituito da 9 termini prodotto:

d2 2 [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]   =   l(l - 1) · e-ε · ξ · ξl-2 · t1(ξ)   -   lε · ξl - 1 · e-ε · ξ · t1(ξ)   +   l e-ε · ξ · ξl - 1 · d t1(ξ)   +   ε e-ε · ξ · ξl · t1(ξ) +

 -  lε · ξl - 1 · e-ε · ξ · t1(ξ)  -  √ε ·  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)   +   l e-ε · ξ · ξl - 1 · d t1(ξ)  -  √ε ·  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)   +   e-ε · ξ · ξl · d2 2t1(ξ)


In tutti i termini c'è una potenza in base ξ, anche con esponenti < l; scriviamoli tutti in modo che compaia ξl, ponendo  ξl - 1  =   ξl ξ   e   ξl -2  =   ξl ξ2  e così otteniamo:

d2 2 [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]   =   l(l - 1) ξ2 · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)   -   lε ξ  · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)   +   l ξ · ξl · e-ε · ξ · d t1(ξ)   +   ε · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)   +  

 -  lε ξ  · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)  -  ε ·  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)   +   l ξ · ξl · e-ε · ξ · d t1(ξ)  -  ε ·  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)   +   e-ε · ξ · ξl · d2 2t1(ξ)



I vari termini sono raccolti insieme a seconda che contengano il fattore t1(ξ) o la sua derivata, mettendoli in evidenza assieme alla potenza in base ξ e all'esponenziale:

d2 2 [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]   =   l(l - 1) ξ2 · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)   -   lε ξ  · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)   +   ε · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)  -  lε ξ  · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)   +

+   l ξ · ξl · e-ε · ξ · d t1(ξ)  -  ε ·  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)   +   l ξ · ξl · e-ε · ξ · d t1(ξ)  -  ε ·  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)   +   e-ε · ξ · ξl · d2 2t1(ξ)



Non resta che ordinare il secondo membro, mettendo prima il termine contenente la derivata seconda, poi i termini contenenti la derivata prima ed infine quelli contenenti il fattore t1(ξ):

d2 2 [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]  =  ( l(l - 1) ξ2  -  lε ξ  +  ε  -  lε ξ ) ·ξl · e-ε · ξ ·t1(ξ)  +  ( l ξ  -  ε  +  l ξ  -  ε ) ·  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)  +  e-ε · ξ · ξl · d2 2t1(ξ)


Sommando nelle parentesi i termini uguali o simili ed ordinando, come detto prima, secondo l'ordine massimo di derivazione, si ha:

d2 2 [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]   =   e-ε · ξ · ξl · d2 2t1(ξ)   +   2 · ( l ξ  -  ε ) ·  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)   +

+   ( l(l - 1) ξ2  -  2 · lε ξ   +   ε )  · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)
                   (10.3)


A questo punto siamo in grado di effettuare le sostituzioni desiderate nell'equazione (10.2), in modo da passare dalla funzione R(ξ) alla funzione t1(ξ); nella (10.2) alla derivatra seconda sostituiamo il secondo membro della (10.3) e alla derivata prima l'espressione a 3 termini trovata:

e-ε · ξ · ξl · d2 2t1(ξ)   +   2 · ( l ξ  -  ε ) ·  e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ)   +   ( l(l - 1) ξ2  -  2 · lε ξ   +   ε )  · ξl · e-ε · ξ · t1(ξ)   +

2 ξ· [ ( l ξ -ε) ·  e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)   +   e-ε · ξ · ξl · d t1(ξ) ]  -  ε · ξ2  -  2 · ξ   +   l(l+1) ξ2 · [e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)]  =   0


tra tutti i termini a primo membro, si può mettere in evidenza   e-ε · ξ · ξl, due fattori che non si annullano mai in tutto l'intervallo [0, +∞) e quindi si possono eliminare, dividendo per essi primo e secondo membro:

d2 2t1(ξ)   +   2 · ( l ξ  -  ε ) · d t1(ξ)   +   ( l(l - 1) ξ2  -  2 · lε ξ   +   ε )  · t1(ξ)   + 2 ξ· [ ( l ξ -ε) ·  t1(ξ)   +   d t1(ξ) ]  +

 -  ε · ξ2  -  2 · ξ   +   l(l+1) ξ2 · t1(ξ)  =   0


Raccogliendo ancora i termini in t1(ξ) e con derivata prima:

d2 2t1(ξ)  +  2 · ( l ξ - ε +  1 ξ ) · d t1(ξ)  +  ( l(l - 1) ξ2  -  2 · lε ξ  +  ε )  · t1(ξ)   + 2 ξ· ( l ξ -ε) ·  t1(ξ)  -  ε · ξ2  -  2 · ξ   +   l(l+1) ξ2 · t1(ξ) = 0

Riducendo a denominator comune nel coefficiente della derivata prima e raccogliendo t1(ξ) negli ultimi tre termini, otteniamo:

d2 2t1(ξ)   +   2 · ( l ξ  -  ε   +   1 ξ ) · d t1(ξ)   +   [ ( l(l - 1) ξ2  -  2 · lε ξ   +   ε )   + 2 ξ· ( l ξ -ε) ·   -  ε · ξ2  -  2 · ξ   +   l(l+1) ξ2 ] · t1(ξ)  =   0

Quindi si riducono a denominator comune i termini del coefficiente di t1(ξ)

d2 2t1(ξ)   +   2 · ( l ξ  -  ε   +   1 ξ ) · d t1(ξ)   + l(l - 1)  -  2 · ξ · lε + ε · ξ2  +  2 l  -   2·ξ √ε -  ε · ξ2  ·  +  2 · ξ   -   l(l+1) ξ2 · t1(ξ)  =   0


Moltiplicando e semplificando, si ottiene

d2 2t1(ξ)   +   2 · ( l ξ  -  ε   +   1 ξ ) · d t1(ξ)   + 2 ξ · [1   -   √ε (l+1) ] · t1(ξ)  =   0

Equazione, derivata da quella della funzione d'onda radiale R(ξ), che ci consente di studiare la funzione t1(ξ) rappresentabile con una serie del tipo Σkakξk.






11.   Formula di ricorrenza della serie t1(ξ) e considerazioni sulle regole di selezione per ottenere i numeri quantici n, l


Per poter procedere, facciamo una ultima sostituzione di variabile, ponendo u = 2 ξ√ε   avendosi dξ = du 2 √ε   e di conseguenza   2 = du2 4 ε   e andando a fare le sostituzioni, si ha

4 ε d2 du2 t1(u)   +   2 · ( 2 √ε l u  -  ε   +   2 √ε u ) · 2 √ε d du t1(u)   + 4 √ε u · [1   -   √ε (l+1) ] · t1(u)  =   0

elaborando e semplificando, risulta   d2 du2 t1(u)   +   [ 2 (l + 1) u  -  1 ]  · d du t1(u)   + 1 - (l+1)ε ε u · t1(u)  =   0                                           (11.1)
A questo punto, la serie da utilizzare come funzione sia   t1(u) = Σk akuk; proviamo a sostituirla nell'equazione

Σk ak k (k - 1) uk - 2   +   [ 2 (l + 1) u  -  1 ]  · Σk ak k uk - 1   + 1 - (l+1)ε ε u · Σk ak uk  =   0

Sviluppiamo il 2° e il 3° termine, togliendo le parentesi e osservando che   uk - 1 u  =   uk - 2

Σk ak k (k - 1) uk - 2   +   2 (l + 1)  · Σk ak k uk - 2 -   Σk ak k uk - 1   +   1 - (l+1)ε ε · Σk ak uk - 1  =   0


e raccogliendo per potenze di uguali esponenti   Σk ak k [(k - 1) + 2 (l + 1)] · uk - 2 -   Σk ak (k +  l  +  1 -   1 ε) · uk - 1  =   0

Scriviamo la prima serie, incrementando l'indice (k) di 1 unità, per sincronizzare gli esponenti a k - 1 (uk - 1)

Σk ak+1 (k+1) [k + 2 (l + 1)] · uk - 1 -   Σk ak (k +  l  +  1 -   1 ε) · uk - 1  =   0
cioè 
Σk { ak+1 (k+1) [k + 2 (l + 1)] -   ak (k +  l  +  1 -   ε) } · uk - 1 =  0
  e quindi deve risultare   ak+1 (k+1) [k+2 (l +1)] -  ak (k+  l  +  1 -   1 ε)  =   0
ottenendosi la formula ricorrrente per i coefficienti   ak+1 (k+1) [k + 2 (l + 1)]  =   ak (k +  l  +  1 -   1 ε)
dunque risulta, posto   λ = 1 ε,     ak+1 ak = k +  l  +  1  -   λ (k+1) [k + 2 (l + 1)]

Intanto definiamo il Raggio di Convergenza di una serie

Si definisce Raggio di Convergenza R di una serie , dove, nel nostro caso, x0 = 0, il valore
R := sup { x ∈ + | Σkak xk converge }
cioè
R è uguale all'estremo superiore dell'insieme delle x appartenenti al campo Reale positivo tali che la serie converga.

Quindi il Raggio di convergenza di una serie esiste sempre e si hanno tre casi: R = 0; R = +∞; 0 < R < +∞



Al fine di stabilire la convergenza o meno di una serie esiste il Criterio del Rapporto o Criterio di convergenza di D'Alembert sul Raggio di convergenza della serie, detto R il raggio di convergenza, si sa che se risulta     lim k → +∞ | ak+1 ak | = 0  allora risulta anche che   R → +∞     cioè il raggio di convergenza della serie tende a infinito; questo significa che troncando la serie ad un valore qualunque, finito, di k, il polinomio risultante di grado k-esimo converge ad un valore finito.

Possiamo anche constatare che per k grandi, il rapporto   ak+1 ak     1 k     così che possiamo porre   ak+1   =   ak k     e se due termini consecutivi sono esprimibili in questo modo, è facile riconoscere che la serie diventa

Σk a0 k!  · uk  =   a0 · Σk uk k!  =  a0 · eu   che per u → +∞ è divergente, nel senso che il limite diventa infinito.

Vediamo la dimostrazione, quasi immediata, di   lim k → +M   ak+1 ak    dove con +M si è voluto indicare un numero intero positivo molto grande, ma finito; detto questo, è chiaro che risultando k = +M   >>  l + 1 - λ   e  k  >>  2(l + 1), risulta comprensibile porre lim k → +M   ak+1 ak  =   lim k → +M k +  l  +  1  -   λ (k+1) [k + 2 (l + 1)]  =   k k2  =   1 k

Per rendersi conto poi di come la serie si possa scrivere come visto prima, con il fattoriale di k (k!) al denominatore, basta osservare che i primi termini della serie sono:

a0 1 , a1 1 = a0 1 , a2 2 = a0 1·2 , a3 3 = a0 1·2·3 , a4 4 = a0 1·2·3·4 , ..., ak k = a0 k!  con l'unica avvertenza che al denominatore del primo termine è stato necessario "forzare" l'uno al posto dello zero, o considerarlo 0! che è uguale ad 1.

Dunque la serie converge alla funzione eu → +∞ per u → +∞, con la conseguenza che la funzione d'onda anche se c'è il fattore ul tende all'infinito per u → +∞, a meno che non si tronchi la serie ad un indice k=n, dal momento che il Raggio di Convergenza è qualunque numero reale positivo, ma finito.
Per troncare la serie, bisogna ammettere che dal n-esimo (n = λ) in poi i termini siano tutti nulli; e siccome gli ak sono tutti diversi da zero, allora ne consegue che deve essere nullo il fattore   k +  l  +  1  -   λ ; da questo consegue che λ è un numero intero positivo, perchè deve risultare  λ =  n  =  k +  l  +  1    dove  k, l   N   sono cioè numeri naturali, quindi interi.

Intanto dall'espressione   λ =  n   dove   λ = 1 ε   si mette in relazione il numero quantico principale n, perchè di questo si tratta, con l'energia ε del livello energetico, ottenendosi la stessa formula che si ricava con la teoria di Bohr; infatti:
n2  =  λ2   =   1 ε   da cui   ε  =  1 n2   e dal momento che   ε  =  -  En ε0   si ricava En   =   -  ε0 n2   =   - 2me4 n2   che è l'espressione dell'energia di un livello energetico dell'atomo di Idrogeno.

Ricordiamo che il troncamento della serie, cioè ridurre la serie ad un polinomio, è necessario per far si che il limite per u → ∞ sia finito e non infinito (questo troncamento potrà come visto essere fatto per un qualunque grado polinomiale, purchè finito, visto che il Raggio di Convergenza della serie è infinito).



Appare evidente allora che la serie può essere troncata a qualunque valore   n   N   ≡   {0, 1, 2, ... N}  dell'insieme dei Numeri Naturali; dove il valore n di troncamento è chiaramente il numero quantico principale n a cui corrisponde un livello energetico dell'atomo di idrogeno, con un corrispondente autovalore per l'energia En (autovalore calcolato poc'anzi) ed una corrispondente autofunzione per la funzione d'onda.

Considerando dunque tutti i possibili valori di troncamento si otterrà un set completo di autofunzioni per l'atomo d'idrogeno; questo accade sia per la parte radiale R(r) sia, come si vedrà, per la parte angolare Θ(θ).

In realtà la situazione è molto più complessa, dal momento che la molteplicità dei livelli energetici è = 1 solo per n=1, mentre per n > 1 è sempre > 1 e cresce salendo di livello in livello.
Ciò significa che per ogni valore di n si hanno più funzioni d'onda dal momento che per ogni n > 1 è possibile più di un valore per   l  

A questo punto cerchiamo di capire come va intesa l'espressione  n  =  k +  l   + 1   dove il parametro k è chiamato numero quantico radiale   ed è indicato con nr; per cui si ha:    n  =  nr +  l   + 1.     La logica sottesa alla relazione scritta è la seguente:

Nell'immagine sono visibili i grafici delle prime 3 funzioni d'onda radiali con l = 0, dove si vede che R10 non ha nodi, R20 ne ha uno ed R30 ne ha due

È chiaro che il valore di troncamento della serie (k = n) è il numero quantico principale n del livello energetico e che facendo tutti i possibili troncamenti di serie, a partire da k = 1, si ottengono tutti i livelli energetici dell'atomo di idrogeno, con tutti gli autovalori dell'energia e le autofunzioni associate, risolvendo ovviamente anche le equazioni in θ e in φ e normalizzando i relativi prodotti R(r)·Θ(θ)·Φ(φ).

In definitiva si procede in modo che, fissato il valore del numero quantico principale n, che individua il livello energetico, e stante la condizione l  ≤  n - 1 , si assegna ad  l   il primo valore più basso, cioè Zero a cui corrisponde nr = n-1 cioè, in questo livello fissato dal valore di n, la funzione d'onda R(r) con il maggior numero di nodi: con l'ovvia conclusione che aumentando di una unità il valore del numero quantico azimutale, diminuisce di una unità il numero di nodi della funzione, fino ad arrivare, per  l = n-1,  ad una funzione d'onda con ZERO nodi.


Ad ogni sottolivello resta associata una molteplicità che scaturisce come si vedrà dal fatto che ad ogni valore di  l   corrispondono due valori di m, numero quantico magnetico, uno positivo e uno negativo; per cui questa molteplicità è pari a 2l   + 1, dal momento che per l=0 corrisponde solo m=0, senza cioè doppio segno per il valore zero.


valore di l valori di m numero valori di m molteplicità nodi   nr
l = n-1 ±(n-1), ±(n-2), ±(n-3), ..., ±2, ±1, 0 2, 2, 2, ..., 2, 2, 1 l coppie per 2l valori + 1 per l=0; per complessivi 2 l + 1 valori di m 0
l = n-2 ±(n-2), ±(n-3), ±(n-4), ..., ±2, ±1, 0 2, 2, 2, ..., 2, 2, 1 l coppie per 2l valori + 1 per l=0; per complessivi 2 l + 1 valori di m 1
.................................................................................................................................
l = 2 ±2, ±1, 0 2, 2, 1 2 coppie per 4 valori + 1 per l=0; per complessivi 5 valori di m n-3
l = 1 ±1, 0 2, 1 1 coppia di valori + 1 per l=0, per complessivi 3 valori di m n-2
l = 0 0 1 1 solo valore di m n-1
la molteplicità di sottolivello è dunque uguale a 2l + 1


Se ad un sottolivello resta associata la molteplicità 2l + 1, quanto sarà quella associata al corrispondente livello?
È chiaro che, detta gn la molteplicità del livello n, si ha:   gn = Σ (2l + 1)   ovviamente con  0  ≤  l  ≤  n - 1   e se facciamo una tabella delle molteplicità per tutti gli n valori del numero quantico secondario abbiamo

numero quantico l 0 1 2 ...... n-1
molteplicità sottolivello 1 3 5 ...... 2n-1
scala inversa molteplicità 2n-1 2n-3 2n-5 ...... 1
somma celle a2j + a3j 2n 2n 2n ...... 2n

infatti per l  = n-1 abbiamo che la molteplicità è 2l  + 1 = 2(n - 1) + 1 = 2n - 1, appunto.
Poi non è complicato rendersi conto del contenuto delle celle della 4ª riga; la somma delle celle corrispondenti (stessa colonna) della 2ª e 3ª riga è sempre 2n e le celle sono n, ragion per cui la somma del contenuto delle n celle della 4ª riga è n · 2n = 2n2; ma si riferisce però al doppio della somma totale delle celle della seconda (o terza) riga; cioè è il doppio della molteplicità e quindi la molteplicità di livello è di conseguenza   gn  =  n2.






12.   La funzione radiale R(u) e i Polinomi di Laguerre

Riprendiamo l'equazione (11.1) dove la funzione incognita, da determinare, è t1(u) a cui, come visto, si deve sostituire una serie da troncare opportunamente per garantirsi la convergenza della R(r) per r → +∞; equazione che opportunamente elaborata, diventa:

u · d2 du2 t1(u)   +   (2 · l + 2 - u)  ·  d du t1(u)   + (λ - l - 1) · t1(u)  =   0       (12.0)
Da notare, per quanto riguarda il coefficiente (λ - l - 1), che si è già visto che λ = nr + l + 1, e quindi risulta semplicemente nr = λ - l - 1, per cui l'equazione nella t1(u) si può scrivere:

u · d2 du2 t1(u)   +   (2 · l + 2 - u)  ·  d du t1(u)   + nr · t1(u)  =   0

Questa è un'equazione differenziale (ordinaria del secondo ordine) di Laplace, ampiamente studiata e documentata nella letteratura scientifica, che si risolve facendo ricorso ai Polinomi di Laguerre ed ai Polinomi generalizzati di Laguerre.
Un Polinomio di Laguerre di grado K è una funzione polinomiale la cui formula generatrice è

LK(u) = eu · dK duK (uK · e-u)       o anche     LK(u) = eu K! · dK duK (uK · e-u)     chiamata   formula di Rodriguez

notando che a denominatore spesso può comparire il fattoriale di K; se lo si tralascia, come capita in alcuni testi, non è una dimenticanza, dal momento che, dovendo normalizzare successivamente la funzione d'onda, all'atto del calcolo del fattore di normalizzazione e quindi con la normalizzazione stessa, il fattoriale verrà automaticamente introdotto dal calcolo stesso.

Nella tabella qui di seguito, sono riportati i primi Polinomi di Laguerre, di grado più basso, avendo tralasciato al denominatore il fattoriale di K:

Grado K Polinomio di Laguerre
0 L0 = 1
1 L1 = 1 - u
2 L2 = 2 - 4u + u2
3 L3 = 6 - 18u + 9u2 - u3


Posto     ω(u) = uK · e-u     la relazione precedente si può scrivere   LK(u) = eu · ω(K)(u)                 (12.1)
facendo la derivata prima si ha   ω'(u) = K · uK-1 · e-u - uK · e-u   ed elaborando l'espressione trovata   ω'(u) = K u · uK · e-u - uK · e-u   cioè
ω'(u) = ( K u  -  1) · uK · e-u   e liberando dal denominatore   u · ω'(u) = (K - u) · ω(u).

A questo punto, si pensi di derivare ancora K + 1 volte l'ultima espressione scritta, tenendo presente che per trovare la n-esima derivata di un prodotto x · f(x) vale la formula di Leibnitz   dn dxn(x · f(x))   =  x · f (n)(x)   +   n · f (n-1)(x)   e quindi dalla nostra ultima, precedente equazione differenziale del primo ordine, togliendo prima a secondo membro la tonda e moltiplicando u · ω'(u) = K · ω(u) - u · ω(u), otteniamo differenziando K+1 volte mediante l'applicazione della formula di Leibnitz

u · ω(K+2)(u)   +   (K+1) · ω(K+1)(u)   =   K · ω(K + 1)(u) - u · ω(K + 1)(u) - (K+1) · ω(K)(u)

e portando tutto a primo membro, sommando i termini simili rispetto alle derivate

u · ω(K+2)(u)   +   (K+1) · ω(K+1)(u)   -   K · ω(K + 1)(u) + u · ω(K + 1)(u)   +   (K + 1) · ω(K)(u)  =  0

cioè     u · ω(K+2)(u)   +   (1 + u) · ω(K+1)(u)   +   (K + 1) · ω(K)(u)  =  0                            (12.2)

Dalla (12.1) si ottiene     ω(K)(u)   =   LK(u) eu   =   LK(u) · e-u                      (12.3)

Nella (12.2) oltre alla   ω(K)(u)   compaiono la   ω(K+1)(u)   e la   ω(K+2)(u)   che sono la derivata prima e la derivata seconda di   ω(K)(u)   per cui risulta

ω(K+1)(u)   =   L'K(u) · e-u   -   e-u  · LK(u)   =   e-u  · [ L'K(u)   -   LK(u) ]

ed ancora

ω(K+2)(u)   =   d du { e-u  · [ L'K(u)   -   LK(u) ]}  =  -  e-u  · L'K(u)   +   e-u  · LK(u)     +   e-u  · L"K(u)   -  e-u  · L'K(u)   =

  e-u  · L"K(u)  -  2 · e-u  · L'K(u)     +   e-u  · LK(u)


sostituendo poi nella (12.2)

u · [  e-u  · L"K(u)  -  2 · e-u  · L'K(u)     +   e-u  · LK(u) ]   +   (1 + u) ·   e-u  · [ L'K(u)   -   LK(u) ]   +   (K + 1) · e-u · LK(u)   =   0

togliendo le parentesi, moltiplicando, semplificando e raccogliendo termini simili rispetto alle derivate di LK(u)

u  · L"K(u)  -  2 · u · L'K(u)     +   u  · LK(u)   +   (1 + u) ·   L'K(u)   -   (1 + u) · LK(u)   +   (K + 1) · LK(u)   =   0

ottenendo   u  · L"K(u)  -  2 · u · L'K(u)     +   u  · LK(u)   +   (1 + u) ·   L'K(u)   -   (1 + u) · LK(u)   +   (K + 1) · LK(u)   =   0

e semplificando   u  · L"K(u)   +   (1 - u) · L'K(u) +   K  · LK(u)   =   0

Giunti a questo punto, si è in grado, partendo da quest'ultima equazione trovata, di arrivare a definire i Polinomi Associati di Laguerre che compariranno esplicitamente nell'espressione generale per calcolare la funzione d'onda radiale R(r) per l'atomo di idrogeno (o per un atomo idrogenoide).

Per giungere alla loro definizione, differenziamo ancora una volta l'equazione suddetta:

u  · L"'K(u)   +   L"K(u)   +   -   L'K(u)   +   (1 - u) · L''K(u) +   K  · L'K(u)   =   0

cioè   u  · L"'K(u)   +   [1 + (1 - u)] · L"K(u)   +   (K - 1)  · L'K(u)   =   0

che possiamo indicare con l'ordine di derivazione aggiunto a parte

u  · L"(1)K(u)   +   [1 + (1 - u)] · L'(1)K(u)   +   (K - 1)  · L(1)K(u)   =   0

e derivando ancora
u  · L"(2)K(u)   +   [2 + (1 - u)] · L'(2)K(u)   +   (K - 2)  · L(2)K(u)   =   0

e quindi generalizzando alla j-esima derivata

u  · L"(j)K(u)   +   [j + (1 - u)] · L'(j)K(u)   +   (K - j)  · L(j)K(u)   =   0                   (12.4)

dove con ovvia interpretazione della notazione risulta       L(j)K(u)   =   d j du j   [eu d K du K ( uK · e -u) ]

dove giova osservare che se j > K il polinomio si annulla. Come va intesa questa espressione?
La derivata K-esima di uK · e-u non è altro che un prodotto di due fattori: un polinomio, con coefficienti a segni alterni, di grado K della variabile u, moltiplicato per e-u; questo prodotto, opportunamente moltiplicato per eu, lascia un polinomio di grado K della variabile u; successivamente la derivata j-esima del polinomio precedentemente ottenuto, abbassa di j unità di grado il grado del polinomio finale nella variabile u, ottenendosi pertanto un polinomio della variabile u ma di grado K - j, denominato

Polinomio generalizzato di Laguerre.


L(j)K(u)   =   1 - |a1| · u   + a2 · u2 - |a3| · u3 + .... + (-1)K-j-2 · |aK-j-2| · uK-j-2 + (-1)K-j-1 · |aK-j-1| · uK-j-1 + (-1)K-j · |aK-j| · uK-j

La logica qual è?
Si può fissare K e poi, ponendo j=0, j=1,... j=K-1, si ottengono K polinomi a grado decrescente che hanno caratteristiche molto interessanti, come stiamo per scoprire considerando la (12.0)

u · d2 du2 t1(u)   +   (2 · l + 2 - u)  ·  d du t1(u)   + (λ - l - 1) · t1(u)  =   0

se si confronta la precedente equazione con la (12.4)

u  · L"(j)K(u)   +   [j + (1 - u)] · L'(j)K(u)   +   (K - j)  · L(j)K(u)   =   0

si nota che esse sono uguali a patto che siano uguali i coefficienti delle derivate e a patto che si ponga

t1(u)   =   L(j)K(u)

In questo modo si ottiene un set completo di Polinomi associati di Laguerre che risultano essere ortogonali tra loro, nel senso che detti

L(j)K'(u)  e   L(j)K(u)   due polinomi del set, la condizione di ortogonalità è tale che risulti



dove   δ0 = 0  se  K ≠ K'   mentre se     K = K', δ0 = (K!)3 (K - j)!        (12.5)


La rappresentazione di Rodriguez (Formula di Rodriguez) di un Polinomio Associato di Laguerre è data da:

L(j)k(u)   =   eu · u-j k! · dk duk (e-u · uk + j )   =    (-1)m · (k + j)! (k - m)! · (j + m)! · m! um


Dovendo dunque risultare


2 · l  + 2 - u = j + 1 - u   e anche   λ - l - 1 = K - j ; dove, come già visto,   λ  =  n   il   numero quantico principale,   risultando allora  

j   =   2 · l   +   1   e   n - l   - 1 = K - 2 · l   - 1    da cui si ricava   k  =   K  =  n + l   avendosi anche  

Nella tabella di seguito i polinomi generalizzati d Laguerre ottenuti per diversi valori di numero quantico principale n e azimutale l

Livello Sottolivello Polinomio Laguerre
n = 1 l = 0 L1(1)(u)  =  -1
n = 2 l = 0
l = 1
L2(1)(u)  =  2u - 4
L3(3)(u)  =  -6
n = 3
l = 0
l = 1
l = 2
L3(1)(u)  =  -3u2 + 18u - 18
L4(3)(u)  =  24u - 96
L5(5)(u)  =  - 120


13.   La funzione d'onda radiale R(r) completa e normalizzata, includendo i Polinomi generalizzati di Laguerre


Anche per i Polinomi generalizzati di Laguerre vale lo stesso discorso fatto per i Polinomi di Laguerre: manca il fattoriale di K a denominatore.
La loro importanza dipende dal fatto che sono soluzioni dell'equazione radiale di Schrödinger per l'atomo d'drogeno, dal momento che formano un set completo di autofunzioni ortogonali nella forma

Rnl (u)   =   N · e-u/2 · u l ·

Con riferimento alla funzione R(ξ) in (10.1), cioè   R(ξ) = A · e-ε · ξ · ξl · t1(ξ)

è immediato constatare come si tratti della stessa funzione, avendo evidentemente

R(ξ)  =  Rnl (u);     A  =  N;     e-u/2  =  e-ε · ξ;     t1(ξ) =  

Infatti -√ε  =   1 n,     ξ  =  n · u 2    da cui, si ricava    -√ε · ξ   =   - 1 n · n · u 2   =   - u 2     e l'ultima uguaglianza con t1(ξ)   è a questo punto ovvia.

Il set di funzioni radiali  Rn,l (u)   che si ottengono considerando le possibili (infinite, teoricamente) coppie n,l formano, come detto, un set di autofunzioni ortogonali tra loro e normalizzabili all'unità; a questo punto, però, occorre, prima di procedere, tornare indietro alla variabile radiale indipendente originaria, cioè a r, ricordando che sono stati fatti 2 cambi di variabile: r → ξ → u  ; con il primo cambio abbiamo posto ξ = r a0 ; mentre con il secondo si è posto u = 2 √ε ξ  e quindi complessivamente si ha   u  =  2 r √ε a0  =  2 · r n a0  dove a0 è il Raggio di Bohr.

Di conseguenza l'espressione della funzione d'onda radiale   Rnl (u)   =   N · e-u/2 · u l ·   diventa

Rnl (r)   =   N · e-r/na0 · ( 2r na0 )l ·   e la condizione di ortonormalità è assicurata dal fatto che risulta:  

dove   δnn'   =   0   (condizione di ortogonalità o non sovrapposizione o indipendenza lineare) per  n   ≠   n';   e     δnn'   =   1 per  n   =   n'   (se la funzione Radiale associata è normalizzata a UNO, cioè se è stato determinato N, il Fattore di Normalizzazione).

dove si ha

Rnl(r) · Rn'l(r) · r2 dr   = N2 · ( 2r na0) 2l· e-( r na0) ·   · e-( r na0) · · r2 · dr  =   N2 · e-( 2r na0) · (2r na0) 2l · · · r2 dr

Ed essendo n  =  n' si ha

Rnl(r)·Rnl(r)·r2dr = [ Rnl(r) ]2 · r2 dr   = N2 · ( 2r na0) 2l · e-( r na0) ·   · e-( r na0) · ·r2dr  = N2· e-( 2r na0) · ( 2r na0)2l · []2·r2dr

Che rappresenta la Probabilità di trovare l'elettrone nel volume compreso tra la superficie sferica di raggio r e la superficie sferica di raggio r + dr: chiamata appunto Probabilità radiale.

Quindi si ha     e-( 2r na0) · ( 2r na0)2l · []2 · r2 dr = 1

Per il calcolo del Fattore di Normalizzazione N, conviene esprimere l'espressione in funzione della variabile u:

e-u · u2l · []2 · r2 dr = 1      e considerando che    r  =   n a0 2 · u    risulta    dr  =   n a0 2 · du    ed anche    r2 =   n2 a02 4 · u2

per cui l'integrale in esame diventa

e-u · u2l · []2 · n3 a03 8 · u2 du = 1        e mettendo in evidenza le costanti

n3 a03 8 · N2 · · u2l · []2 · u2 du = 1

Si consideri ora il solo integrale       · u2l · []2 · u2 du       che può essere scritto anche     · u2l + 1 · []2 · u · du

se ricordiamo la formula di integrazione per parti   f '(u) · g(u) du  =  f(u) · g(u)  - f(u) · g'(u) du     dove conviene scegliere come fattore finito  g(u) = u,
mentre il fattore differenziale è dato da       f '(u) = e-u · u2l + 1 · []2   e quindi in base alla (12.5) risulta

f(u)  = · u2l + 1 · []2 · du  =  (K!)3 (K - j)!  =   [(n + l )!]3 (n - l - 1)!       avendo evidentemente K = n + l   e   j = 2l + 1

e quindi l'integrazione per parti si può scrivere

· u2l + 1 · []2 · u · du  =   u · · u2l + 1 · []2 · du  - {· u 2l + 1 · []2 · du } · du  =

u · [(n + l )!]3 (n - l - 1)!   -   {[(n + l )!]3 (n - l - 1)!}   · du   = [(n + l )!]3 (n - l - 1)! · (u  - )
    e dal momento che   =   u + cost  

con cost costante arbitraria di integrazione, si può scrivere    

· u2l + 1 · []2 · u · du  =   [(n + l )!]3 (n - l - 1)! · (u - u - cost)   =   -  [(n + l )!]3 (n - l - 1)! · cost

tornando allora all'espressione contenente la costante di Normalizzazione da determinare, si ha

n3 a03 8 · N2 · · u2l · []2 · u2 du   =   -  [(n + l )!]3 (n - l - 1)! · n3 a03 8 · N2 · cost   =   1  

dove, con considerazioni ignote e non documentate, si può trovare cost  =  - 2n, in modo da ottenere

[(n + l )!]3 (n - l - 1)! · n3 a03 8 · N2 · 2n   =   1   così che   [(n + l )!]3 (n - l - 1)! · n4 a03 4 · N2   =   1   cioè   N2   =   (n - l - 1)! [(n + l )!]3 · 4 n4 a03    

e per finire, si trova finalmente       N = {4 ·(n - l - 1)! n4 · a03 · [(n + l )!]3 }½      
Dove l'espressione dei Polinomi generalizzati di Laguerre opportunamente normalizzati è data da:

  =   (-1)k+1 · [(n + l )! ]2 (n - l - 1 - k)! · (2 l + 1 + k)! · 1 k! · (2r na0 )k                 (13.1)
Abbiamo la seguente tabella dei primi Polinomi Associati (o Generalizzati) di Laguerre (con ovviamente u = 2·r n·a0 )
Polinomi Associati di Laguerre
n = 1, l = 0 L 1 1 (u)  =  -1 n = 4, l = 0 L 1 4 (u)  =  -3!(4 - 6u + 2u2 - ⅙u3)
l = 1 L 3 5 (u)  =  -5!(10 - 5u + ½u2)
n = 2, l = 0 L 1 2 (u)  =  -2!(2 - u) l = 2 L 5 6 (u)  =  -6!(6 - u)
l = 1 L 3 3 (u)  =  -3! l = 3 L 7 7 (u)  =  -7!
n = 3, l = 0 L 1 3 (u)  =  -3!(3 - 3u + ½u2)
l = 1 L 3 4 (u)  =  -4!(4 - u)
l = 2 L 5 5 (u)  =  -5!


Determiniamo a questo punto le prime funzioni d'onda Radiali di un atomo d'idrogeno (per ottenere l'atomo idrogenoide bisogna considerare Z > 1)


R10(r)   =   2 a03 · e - r a0     →   R10(0)   =   2a03   =   2 · a0- 3 2   >   0    

dove a destra vediamo il grafico della funzione d'onda radiale che presenta una cuspide per r = 0
e non ha nodi (cioè valori di r dove cambia segno, intersecando l'asse r).


R20(r)   =   1 2√2 · a0- 5 2 · (a0 - r) · e - r 2a0     →   R20(0)   =   1 2√2 · a0- 7 2   >   0



A sinistra qui vediamo la funzione d'onda radiale corrispondente a 2s che presenta anch'essa una cuspide per r = 0 e un nodo dal momento che nr = n - l - 1 = 1






Mentre qui a destra abbiamo la funzione d'onda del 3s R30


R30(r)   =   2 81√3 · a0- 7 2 · (27a02 - 18a0r + 2r2) · e - r 3a0     →   R30(0)   =   2 3√3 · a0- 3 2   >   0




E vediamo che c'è sempre la cuspide per r = 0 e i nodi sono 2 perchè nr = n - l - 1 = 3 - 0 - 1 = 2.




E qui a sinistra una veduta d'assieme delle funzioni radiali dei primi due livelli, mentre a destra il grafico per parte del 3° livello

dove le scale sono in unità atomiche e i grafici sono separati perchè i valori del 3° livello sono molto inferiori e darebbero un grafico molto piccolo e poco visibile con chiarezza.


Le altre funzioni d'onda radiali, per valori superiori

R21(r)   =   R2p(r)   =   1 2√6 · a0- 5 2 · r · e - r 2a0     con 0 nodi (il numero quantico secondario ha il valore massimo = n - 1, con n = 2) e R(0) = 0

R31(r)   =   R3p(r)   =   4 81√6 · a0- 5 2 · (6a0 - r) · e - r 3a0             R31(0)   =   4√6 81 · a0- 3 2    con 1 nodo e R(0) > 0.

R32(r)   =   R3d(r)   =   4 81√30 · a0- 5 2 · r2 · e - r 3a0         con ZERO nodi


In definitiva e ricapitolando, la funzione d'onda radiale si scrive




Rnl(r)  =   {4 ·(n - l - 1)! n4 · a03 · [(n + l )!]3 }½  ·   e-r/na0 · ( 2r na0 )l  ·                (13.2)


E' utile determinare la Probabilità Radiale di trovare l'elettrone in uno strato sferico infinitesimo compreso tra r e r + dr, cioè     Pnl(r)   =  r2 · R2nl(r)
Nei grafici qui sotto è riportata la Probabilità radiale di trovare l'elettrrone nello strato sferico infinitesimo compreso tra r e r + dr per i vari orbitali.

 


Per la funzione P10(r) si scrive     P10(r)   =   r2 · [R10(r)]2   =   4 a03 · r2 · e- 2r a0   ed è semplice vedere che il limite per r → 0 = 0; cioè più ci si avvicina al nucleo, più si riduce la probabilità di trovare l'elettrone in un guscio sferico di spessore infinitesimo.
Proviamo a calcolare a quale distanza rp_max la probabilità radiale risulta massima: occorre fare la derivata prima, eguagliandola, poi, a ZERO:



dP10(r) dr   =   4 a03 · d dr (r2 · e- 2r a0 )   =   4 a03 · [ 2r · e- 2r a03  +  r2 · e- 2r a03 · ( - 2 a03 )]  =   8 a04 · (a0 - r) · r · e- 2r a0   =  0

da cui è facile ottenere   rp_max  =  a0  cioè il Raggio di Bohr, come c'era da attendersi;   quindi

la superficie sferica di massima probabilità per l'orbitale 1s più interno è quella corrispondente al Raggio di Bohr.


Posto   P20(r)   =   r2 · [R20(r)]2   =   a0-5 8 · e- r a0 · r2 · (a0 - r)2     Abbiamo poi
dP20(r) dr   =   d dr [ a0-5 8 · e- r a0 · r2 · (a0 - r)2]   =   a0-5 8 · d dr [ e- r a0 · r2 · (a0 - r)2]   =   a0-5 8 · [ - 1 a0 · e- r a0 · r2 · (a0 - r)2   +   2r · e- r a0 · (a0 - r)2   -   2(a0 - r) (-1) r2 · e- r a0 ]   =  0
Raccogliendo a fattor comune e dividendo per i fattori costanti o che non si annullano mai, si ottiene     - 1 a0 · r2·(a0 - r)2   +   2r · (a0 - r)2  +  2(a0 - r) r2  = 0
cioè     - r2 · (a0 - r)2   +   2a0r · (a0 - r)2   +   2 a0 (a0 - r) r2   =  0     quindi     (a0 - r)2 · (2a0r - r2)   -   2 a0r2 (a0 - r)   =  0

dove, mettendo in evidenza a0 - r , si ottiene lo zero r1  =  a0  che è l'ascissa a cui corrisponde il minimo assoluto della densità (dove il valore della densità è uguale a zero: in figura il punto in cui il grafico tocca l'asse delle ascisse); inoltre resta l'equazione

(a0 - r) · (2a0r - r2)   -   2 a0r2   =  0

che elaborata diventa

r3  -  5a0r2 + 2a02r  =  0  

da cui si ottiene l'immediata e ovvia soluzione   r0  =  0   mentre le soluzioni che ci danno i massimi (relativo e assoluto) della densità radiale di probabilità si ricavano dall'equazione restante

r2  -  5a0r + 2a02  =  0   da cui si ottengono le soluzioni   r2,3  =   5a0 ± √17a02 2   =   5a0 ± a017 2   vale a dire r2  =   0,44 a0   e   r3  =   4,56 a0  
   ↑↑↑↑

(il grafico non è molto preciso), ma, come atteso dalla teoria, abbiamo una superficie sferica nodale, sulla quale la probabilità è ZERO, e due superfici sferiche dove la probabilità assume i valori massimi (si ricordi che la funzione 2s ha un nodo:   n - l - 1 = 1).







L'immagine a lato rappresenta superfici nodali e di massima probabilità (a gusci sferici) dei primi tre orbitali ns























Qui a sinistra sono riportati i grafici della funzione d'onda e della densità di probabilità del 2p.
Si vede come la funzione d'onda sia una funzione dispari e il minimo assoluto, con Ψ2(0) = 0, in corrispondenza dell'ascissa ZERO per la densità.












Bibliografia